Lui si che è davvero libero.
Libero di viaggiare, di fermarsi e poi ripartire.
Spesso lo inseguo, raramente lo raggiungo, mai lo supero.
Mi è capitato di viaggiare con lui ed è stato bellissimo.
L’ho visto andarsene da solo ed è stato drammatico.
……… il nostro SOGNO …………
Osservare le onde, che miglia dopo miglia, si frappongono fra noi e la nostra amata isola ormai lontana e poi ancora quei 1850 chilometri, che metro dopo metro creano spazio e nel contempo un gran senso di vuoto nei nostri stomaci ripensando ai giorni vissuti lassù, un po’ ci aveva già preparati.
Ma stamattina, risvegliarsi nel proprio comodo, spazioso, caldo ed asciutto letto di casa, alzarsi ed anziché indossare l’abbigliamento da moto, aprire l’armadio per scegliere qualcosa di adatto, non salire sul mio mezzo alzando la gamba destra afferrando con forza il manubrio bensì premendo solamente il pulsante del telecomando e sedersi comodamente sul sedile della mia auto, appoggiare la mani sul volante servoassistito e partire………è stato uno shock !
Lo so, è così sempre, lo è per tutti.
Per tutti coloro che partono per un periodo di vacanza, il rientro, il momento in cui tutto finisce e tutto, purtroppo, ricomincia .....è sempre tragico.
Poi, davvero scioccante, lo può essere di più o di meno in funzione di quanto, la vacanza, ti abbia realmente allontanato dalla frenetica e convulsiva vita di tutti i giorni.
Da quanto tu sia riuscito a staccare con il tuo mondo, da quanto il tuo cellulare abbia taciuto e da quanto la tua mente, il tuo corpo e tutto te stesso siano stati in grado di metabolizzare e comprendere lo spirito del luogo visitato.
Noi, per nostra fortuna ci siamo riusciti ed ora, per nostra sfortuna, ne paghiamo le conseguenze.
Avvertiamo entrambi un senso di spossatezza, che non è frutto dei 1150 chilometri macinati ieri in parte sotto la pioggia.
Una sensazione di vuoto, di smarrimento, una incontrollabile e nevrotica sensazione di costrizione come se dopo un permesso di libera uscita per buona condotta, ora dovessimo fare ritorno nella nostra dimora da reclusi.
Ci guardiamo, in silenzio vaghiamo per casa riassettando quanto lasciato in disordine prima di partire.
Scarichiamo la moto dai pochi bagagli che ci hanno tenuto compagnia lungo il viaggio, sistemiamo il garage lasciando che finalmente la nostra moto possa riposare.
Come sempre la osservo, con tenera ammirazione ne controllo alcune parti al fine di essere certo che sia integra.
Con il dito indice ne percorro il perimetro partendo da ciò che, per giorni, è stata mia linea sotto l’orizzonte, ovvero il parabrezza.
Sporco, ricoperto di polvere, fango ed insetti che il destino ha voluto finissero il loro volo contro di lui, mi ha protetto dal vento, dalla pioggia e seppur pare impossibile da immaginare, mi ha fatto sentire a casa.
Prima della partenza definii la mia moto come un somaro utilizzato nella grande guerra per trasportare carichi inverosimili su per le montagne.
Ieri sera, osservandola, mi pareva invece un elegante destriero il quale, terminata una corsa, china il capo verso terra per riabbeverarsi e cercare di recuperare le forze.
Mi allontano, spengo la luce, resto qualche secondo in silenzio, poi la riaccendo……..quasi per accertarmi che il mio destriero non abbia ancora bisogno di me.
Chiudo la porta e salgo in casa.
Lo dissi già tempo addietro, al termine di un interminabile viaggio nelle Americhe, e qualcuno mi fece notare che forse avevo esagerato.
Ma anche stavolta, controcorrente dico, se mai può essere possibile che un mezzo meccanico abbia un’anima, ecco……..quel mezzo non può essere che una motocicletta !
Credo sia difficile, per chi non ne possiede una, comprendere quanto sia forte il legame fra l’uomo ed il mezzo.
Credo sia complesso percepire quanto intrinseca sia la sensazione di vita vissuta e salvaguardata nel rientrare dopo un viaggio importante.
Una sensazione tutt’altro che scontata !
Non una certezza, non un qualcosa che dai per assodato, bensì un qualcosa che più o meno inconsciamente metti a repentaglio, per poi lottare nel cercare di conservarla e renderla ancor più forte ed importante.
Nel fare questo, come tutte le volte, sento su di me una grande, enorme responsabilità.
Un senso di responsabilità che nasce dal fatto di avere nelle mie mani il destino di chi, alle mie spalle, è seduta e con tenace forza non molla mai ! Grande Gisella !
Ma anche il mezzo, nel suo essere un qualcosa che all’apparenza non soffre, non gioisce, non piange non sorride, è parte di una melodia di gruppo che solo se ben accordata può dare origine ad un successo.
Per questo, anche ieri sera come mille altre volte, spegnendo la luce del garage, osservo i suoi fari spenti, incrociare in un fantomatico sguardo, i fari dell’altra nostra moto parcheggiata anch’essa in garage, sorrido ed immagino il loro bisbiglio........
Ciao, bentornata. Stato duro il viaggio ?
Ciao, sono a pezzi……..quei due sono pazzi……non mollano mai, mi caricano come un somaro, si fanno portare ovunque, che siano strade asfaltate, che siano sterrati, guadi, fango….tutto dove c’è un pezzo di mondo, loro ci vanno ! Tu sì che sei fortunata, sempre qui in garage, al caldo, all’asciutto….
Si, forse è vero, però tu hai vissuto cose che io non conoscerò mai. Raccontami qualcosa dell’Islanda dai, mi interessa il tuo punto di vista.
L’islanda……..beh, un posto insolito. Per essere relativamente vicino pare essere posto al confine del mondo. La terra brucia e sbuffa in continuo da secoli, ininterrottamente. Le montagne hanno una forma particolare. Sembrano tanti altopiani, senza vetta capisci ? Nonostante siano prossime al mare, la neve non si scioglie e così tu viaggi con il panorama del mare da un lato e la neve al tuo fianco opposto.
Fantastico quindi !!
Si, fantastico, ma anche freddo, tanto freddo. Pensa che il vento è talmente forte che un giorno un folata mi ha investita in pieno facendomi sbandare. Per fortuna che il matto alla guida è riuscito a tenerci tutti e tre, altrimenti rischiavamo di cadere ed io mi sarei rovinata la vernice….come minimo. In Islanda, la temperatura esterna, non è l’unica cosa fredda. Anche le persone lo sono. Io notavo come i due matti, cercassero di avvicinarsi alle persone autoctone, ma senza particolare successo. E’ strano tutto questo, in fondo gli abitanti dell’Islanda sono persone che non vivono la loro vita in forte solitudine. Immaginavo quindi che il vedere arrivare forestieri potesse essere apprezzato così da poter condividere esperienze, racconti o altro. Invece sono abbastanza schivi, taciturni e non danno molta confidenza.
E sul mangiare ? come ve la siete cavata ?
Ah io bene…..la benzina è di ottima qualità anche se i punti di rifornimento sono pochi ed occorre fare attenzione a non saltarne nessuno. Ma io con il mio serbatoio capiente, non ho avuto problemi. Loro invece, sul magiare………..ahahahahah………un po’ hanno faticato. Le scorte che avevano deciso di portarsi da casa, appesantendomi ulteriormente….sono finite in fretta. E così, dopo essersi improvvisati pescatori vichinghi, hanno iniziato a cibarsi in stile Islandese. Il loro modo di considerare il cibo è molto strano. Vivono di cibi ad alta conservazione, si nutrono di Hotdog, Hamburgher, snack di tutti i tipi. Nonostante in alcune parti dell’Islanda vi sia molto radicata la pastorizia, non hanno formaggi se non un unico tipo, insapore, di forma rettangolare, già pronto per essere inserito nel pane, anch’esso a lunga conservazione e già forato per potervi alloggiare al suo interno il wurstel.
Tornati un po’ più magri quindi….come al solito ahahahahah.
Ed invece, volevo ancora chiederti qualcosa sulle strade, su dove avete dormito. Ti hanno almeno fatto riposare in qualche garage ogni tanto ?
Ma scherzi ? quei pazzi, sono partiti portandosi con se una micro tenda, per fortuna almeno quella era leggera ed anche io ne ho tratto beneficio. Peccato che poi alla sera, per proteggersi dal vento forte, mi parcheggiavano dietro la tenda, usandomi da scudo protettivo per il vento e come se non bastasse legavano una corda fra la tenda ed il mio telaio così da evitare che il vento la sradicasse via. Infine riguardo le strade……..la loro intenzione era quella di non fermarsi di fronte a qualsiasi condizione del manto stradale avessimo incontrato, e così è stato. Per evitare una tempesta che non dava tregua al sud, siamo partiti, carichi come una carovana che deve attraversare il deserto, e ci siamo fatti una pista interna che da sud porta a nord. Non ti dico il fango che abbiamo trovato…….. Guardami, sono ancora tutta sporca ed infangata. Lui, il pazzo, non mollava neppure quando le pozze di acqua e fango erano grandi come piscine, quasi si divertiva a vedere gli schizzi salire in alto come una cascata che, contro natura, lancia i suoi zampilli verso l’alto anziché verso il basso. Per fortuna non sono la sola ad essersi sporcata………avresti dovuto vedere com’erano conciati loro e soprattutto avresti dovuto sentire la puzza dei loro stivali bagnati fradici alla sera.
Ed ora, ti meriterai un po’ di riposo spero ?
Mah………..li conosci anche tu i due pazzi. Staranno già pensando a qualche cosa di nuovo, qualcosa che li tenga vivi nei mesi che fra breve arriveranno e dove, per nostra fortuna, dovremo poterci godere un po’ di più il nostro garage.
A sentirti parlare ogni tanto mi viene da pensare che tu non sia contenta di essere la loro moto.
A dire il vero spesso mi lamento ma non è ciò che penso. Se immagino alle nostre amiche moto, che giacciono semi inutilizzate nei vari garage, che vengono esibite solo come status symbol e non vedono mai nulla che non siano i luoghi attorno a casa, ecco se penso a loro mi sento davvero fortunata. Poi basta prestare attenzione a come ci guardano, a come ci coccolano…………dai, sotto sotto ci vogliono bene ed è per questo che io cerco di ripagarli, facendo l’impossibile per non rompermi mai, cercando di stare sempre dritta, mai cadere e riportarli sempre a casa………..perché in fondo, fino a quando torneranno a casa loro……tornerò a casa anche io ahahahahah.
Riaccendo quindi la luce, rientro in garage, mi avvicino al mio destriero e con la mano destra accarezzo la sella, picchietto due volte su di essa a palmo aperto come a trasmettere calma, e poi ad alta voce dico “ fate nanna……………….e state brave, tutte e due !”
La notte, quel maledetto momento della vita che non vorrei mai arrivasse, è volato in fretta e stamane alzandomi corro fuori per vedere cosa il tempo ha in serbo per noi.
Apro la finestra che si affaccia sulla stradina che porta verso la piazzetta di Trana, pioviggina, nuvole basse schiacciano la prospettiva delle montagne che fanno da spartiacque fra la val Sangone la val di Susa.
Deglutisco, e sento chiaro il sapore di un viaggio appena trascorso, di un luogo al quale, seppur difficile mai vorrei dover dire addio.
Ripenso alla pioggia, al vento, alla piccola tenda, al cibo non propriamente allettante, agli abiti bagnati, al casco fradicio e freddo al mattino, ai piedi congelati alla sera.
Ripenso alle mille difficoltà di un viaggio in moto ed ho sempre il dubbio che forse, lei, desidererebbe una vacanza differente.
Cerco quindi Gisella, che intanto sta annaspando nelle maleodoranti buste dell’abbigliamento utilizzato in questi giorni. Le afferro la mano, la stringo e le chiedo:
“ se potessi scegliere, dove vorresti essere ora “”
Lei mi guarda, e senza lasciare trascorrere il tempo di un dubbio, risponde:
“ lassù, alla cima di quel fiordo, verso Lajtrabag, seduti di fronte alla nostra tenda, ad ascoltare il concerto del mare, del vento e dei Puffin. Noi due, così come eravamo, senza altro, senza ciò che potrebbe solo sembrare necessario ed indispensabile. Ora che sono qui, dove tutto il necessario, l’indispensabile ed anche il superfluo è a mia disposizione………sento forte che mi manca tutto.”
Sorrido ed in qualche misura mi consolo nell’ascoltare quelle parole.
La forza magnetica di quel luogo, è talmente forte e violenta da essere in grado di annullare, cancellare e trasformare le difficolta che nel contempo il luogo stesso ti obbliga a vivere.
Per questo ci siamo tornati.
Per questo, se il mio destriero vorrà, se anche Gisella vorrà e se anche qualcun altro ben più potente vorrà………….tornerò !
Grazie Islanda
Note e ringraziamenti
Nel comporre, giorno per giorno, i tasselli di un viaggio facendo sì che siano tutti a lieto fine, tutti sorridenti, tutti positivi, non sempre tutto è facile come sembra.
Ogni tassello, ovvero ogni giorno, ha le sue difficoltà intrinseche che possono dipendere dal meteo, dal freddo, da mille pensieri o magari solo dal proprio umore.
Riuscirci è spesso impresa ardua, e quando vi si riesce, il ricordo di questo viaggio sarà ancor più indelebile nel tempo.
Noi ci siamo riusciti !
Ed è per questo che il primo ringraziamento va a Gisella.
Vederla uscire dalla microtenda dopo una notte passata a cercare lo spazio vitale per poter dormire, dopo aver sincronizzato le posizioni ( tutti e due girati sul lato destro………ora tutti e due girati sul lato sinistro………..ecc ), vederla uscire dicevo con la pioggia che le bagnava il volto, il vento che le scompigliava i capelli già sconvolti dalla turbolenta notte………e scorgere il sorriso di chi non vede l’ora che il giorno inizi per scrivere una altra pagina di storia comune……..significa che sei mitica !
Un grazie a chi da casa o da altrove ci ha seguiti mediante il blog.
Anche questo, piccolo mezzo di comunicazione che per me risulta essere più un modo di comunicare con me stesso che con altri.
Sebbene questo, se qualcun altro avrà avuto modo di leggere i nostri racconti ed osservare le nostre foto…….vi ringraziamo di averlo fatto.
Un grazie ed un pensiero all’amico Pitta, che con il suo sguardo sorridente, da lassù dove il destino lo ha condotto, in più di una occasione mi ha ricordato quanto importante sia vivere ogni singolo metro, ogni singolo respiro e dare importanza ad ogni cosa passi, anche se per un solo secondo, davanti ai miei occhi.
Islanda 2015 si chiude, ma con essa non scompare l’adrenalinica voglia di partire che da mesi ci teneva svegli.
È stato un sogno, così come il titolo di questo Blog cita.
Un sogno che senza fatica appare in una notte di pensieri.
Un sogno che, solo vivendo istante per istante con la massima forza ed energia, riesci a tramutare in ricordi.
Vogliamo crearne ancora di ricordi, far si che siano un giorno lontano la linfa dei nostri corpi, le immagini riflesse all'interno dei nostri occhi.
Per questo, non smettiamo di sognare !
Ne attenderemo uno nuovo, passeremo le serate buie di questo inverno che verrà alla ricerca di un luogo che ci scarichi addosso l’irrefrenabile desiderio di partire ancora, senza mai mollare, credendoci prima di tutto con l’anima per poi far sì che anche il corpo ne sia parte.
Una manciata di ore ci separano dal sipario che chiuderà quest'anno lungo, faticoso, stancante ma nel contempo meraviglioso.
Noi siamo qui, all'incirca dove un anno prima di quest'istante, aprii questo blog.
Il mare dinnanzi a noi pare mai smettere di respirare, polmona con le sue onde che talvolta impetuose talvolta lievi si avvicinano a noi per poi ritrarsi in un gioco di finte come mai volesse farsi davvero osservare.
Siamo su questa spiaggia d'inverno, l'aria fredda secca le labbra e rende questo luogo un concerto di silenzi.
Siamo ritornati anche quest'anno per scaricare quella frenesia che un anno di lavoro e impegni ha accumulato su di noi. Lasciamo che le ore passino, senza obbligatoriamente cercare di organizzare il nostro tempo, lasciamo che esso scorra così come il sole sale e poi scende.
Non abbiamo fretta, non corriamo a cercare quel qualcosa che, forse, molti cercheranno stasera.
Anzi, là dove vi è la festa, la serata alla quale mai si deve mancare, ecco noi saremo dalla parte opposta, nel buio di una notte stellata, nel silenzio di una spiaggia deserta a cercare ancora una volta quel qualcosa che amiamo, noi stessi.
Certo, come tutti cucineremo, ci tratteremo come piccoli principi, e per farlo abbiamo deciso di cucinare pesce.
Per farlo, stamane di buon ora ci siamo recati al porto così da acquistare la materia prima, appena pescata con ancora indosso il profumo di mare.
La strada verso il porto dei pescatori costeggia un lungo filare di barche a vela.
Mi piace guardarle e mi piace pensare a quanta libertà esse possano dare.
Immaginare di essere laggiù, in mezzo a quel mondo fatto di acqua, il solo respiro del vento come rumore di sottofondo, solo il cielo ed il mare come colori e poi, poi l'infinito di fronte.
A questo penso mentre camminando a fianco di Gisella, osservò con la bava alla bocca quelle barche. Su molte di loro, i proprietari sono intenti a riporre nel govone le provviste per la serata.
La passeranno in mare, come sogno di poter fare io un giorno.
Li osservo, li scruto e credo traspaia senza ombra di dubbio il mio senso di invidia nei loro confronti.
Cammino in linea retta ma il capo è rivolto a destra, nel cercare ogni dettaglio di quella passione, un po' da ricchi, che molti possono permettersi mentre io mi devo accontentare di osservare la loro.
Ci stiamo avvicinando ad una imbarcazione che più di altre mi colpisce.
È una barca a vela con scafo in alluminio. Non brilla per gioventù, ma nel suo essere un po' trasandata mi appare come un qualcosa che potrei rimettere in ordine, partire e mai più tornare.
Sul ponte sono in tre, una donna un uomo ed un cagnolino.
Il trio cattura anche l'attenzione di Gisella, più per il cane che per la barca a dire il vero.
Non scollo gli occhi da quel sogno e mentre rallento per poterla osservare meglio sento che il piede destro affonda in qualcosa di stranamente morbido. Il piede scivola, e con esso anche io perdendo l'equilibrio tanto da essere costretto ad allargare le braccia per non cadere.
Inconsciamente ed inavvertitamente emetto un suono, forse un piccolo urlo di e attiro l'attenzione della donna è dell'uomo sulla barca.
Gisella, anche lei, mi guarda per comprendere cosa fosse successo, ma in pochi istanti le fu chiaro.
Osservo la mia scarpa destra, la quale conserva ancora intatta sulla suola a carrarmato tutta la morbidezza e la fragranza della cacca di cane appena pestata.
Immediatamente penso che il proprietario del "ricordino" sia proprio quel quadrupede che giace rilassato sul ponte della barca a vela con lo scafo in alluminio.
Lo guardo con occhi di fuoco, e mentre questo avviene incrocio gli occhi dell'uomo che con un sorriso misto fra l'amichevole ed il rammaricato esclama " ........porta fortuna.....buon anno "
Che la merda porti fortuna, lo sento dire sin da piccolo.
Di merde in questi anni ne ho pestate a decine e probabilmente sarà grazie a loro se sono qui, oggi, in questo luogo meraviglioso a scrivere.
Però, se davvero questo detto ha un fondamento di ragione, ecco allora mi chiedo quante merde avrà dovuto calpestare il proprietario della barca e del piccolo quadrupede cagatore.
Credo così tanto nel destino che riuscire a scalfire questa mia rocciosa opinione non credo sia facile, tantomeno se a provarci è una merda di cane.
Però accetto, continuo la mia vita, facendo strisciare il mio piede destro per pulirmi dalla morbida e cremosa fortuna.
Osservo ancora il mare, e il riflesso della luna che ormai sorge crea trecentosessanta cinque riflessi sulle onde.
Ognuno di loro pare portarmi indietro nel ricordare un qualcosa o un qualcuno.
Chi in quest'anno ho perso, chi ho incontrato, chi mi ha girato le spalle, chi mi odia e chi forse mi ama.....e di quest'ultimi, me ne basta una.
Un anno, mille immagini, tante emozioni, eterni respiri.
Cosa mi auguro per l'anno che da qui a poco sorgerà?
Di saper amare !!
E se poi dovesse arrivare anche un po di fortuna......beh, in quel caso ben venga tutta la merda del mondo.
Questo blog, a distanza di un anno, come è nato, oggi termina.
Nulla è per sempre, ma qualcosa resta sempre impresso in noi.
Non ricordo esattamente quando e quale fu il primo istante, con buone probabilità avvenne in modo inconsapevole, senza che fossi io a deciderlo, ma di certo avvenne.
Il mio copro iniziò a perdere peso, il mio stomaco ad essere vittima di un continuo formicolio, la mia mente presa da mille pensieri, i miei occhi smisero di chiudersi per il sonno ed il mio cuore iniziò a battere più forte del solito.
Quel presente che si stava, giorno per giorno concretizzando, si aprì come una finestra verso un futuro che solo oggi, volgendomi indietro appare come un passato incredibilmente emozionante.
Non ho mai smesso di crederci anche quando quel sogno pareva smarrito.
Non ho mai smesso di lottare per alimentare quel formicolio che fa star bene, talvolta fa soffrire ma mai smette di far vivere.
Mille sarebbero i momenti che vorrei fissare per sempre come foto spillate sulla parete immaginaria di quel muro, che ad occhi chiusi osservo, quando cerco ossigeno nei ricordi di un recente passato....
" mancano solo più un centinaio di chilometri al punto più a Nord del continente Europeo. Siamo partiti da soli quattro giorni e dopo una cavalcata di 4500 km ormai ci siamo.
L’aria è fredda, la pioggia batte violentemente sulla visiera dei caschi, si insinua sotto i vestiti rendendoci zuppi e tremolanti. Il collo è incassato nelle spalle cercando riparo dal freddo che impedisce i movimenti.
La nebbia si fa fitta e a stento riusciamo a distinguere il bordo della strada e le renne che, sgraziate nel loro ciondolare, ci tagliano la strada. Ad un tratto dalla nebbia salta fuori una sbarra che impedisce il passaggio.
Rallento, mi fermo, scendo dalla moto e noto in lontananza la forma stilizzata del mappamondo posto sulla cima della scogliera che si staglia verso il mare del nord.
Gisella scende, a fatica si toglie i guanti anch’essi zuppi, mi dà la mano e ci incamminiamo a piedi.
Dopo alcuni istanti, i nostri passi si interrompono la dove la stessa terra ferma cessa di esistere. Gisella mi guarda, mi abbraccia e scoppia a piangere.
Siamo a Capo Nord, quel luogo che per primo, nel suo freddo pungente ma nel contempo nel suo estremo essere, ci ha forgiati e ci ha scatenato il desiderio di muoverci e conoscere.
Le prendo la mano, a pochi passi vi è un bar, entriamo ed il caldo reagendo con la nostra pelle resa dura dal freddo reagisce su di essa facendo spuntare sulle guance di Gisella due chiazze rosse attraversate ancora dal rigolo salato delle ultime lacrime.
Piango di gioia mi disse, ma quei suoi occhi lucidi e brillanti, altro non erano che i fari accesi di una donna che si scopriva viaggiatrice e che pur soffrendo, non aveva mai neppure per un istante lasciato alla stanchezza l’onore di vincere ….”
Nella vita di ogni giorno, fra un viaggio e l’altro, la vita continua ed è forse questo il momento più difficile.
Il lavoro, gli impegni, la frenesia di quelle mille ansie che cercano di strapparci da dosso la voglia di continuare ad essere bambini, spesso ci spingono a trascurare noi stessi e tutto ciò che nella realtà ha un unico, supremo e vero valore.
Ma se davvero vuoi lottare, se davvero credi nei sogni ed a loro dai importanza affinché siano in grado di trasformarsi, ecco allora che la vita può stupirti....
" quella carta geografica del mondo, stampata e appesa sul muro che dalla sala porta alla nostra camera da letto, era lì già da tempo ma senza che nessuno di noi due mai vi si soffermasse dinnanzi per più di una manciata di secondi.
Non so bene perché quella sera mi soffermai più del solito, non conosco la ragione per la quale, per la prima volta, i miei occhi riuscirono ad unire i due punti più distanti del continente Americano, dall’estremo Nord in Alaska, sino all’estremo Sud in Patagonia.
Gisella, la quale era in cucina, non vedendomi tornare si affacciò sul corridoio.
Asciugandosi le mani si avvicinò a me, cercò di capire dove i miei occhi puntavano e poi, non riuscendovi, mi chiese cosa stessi guardando.
Il prossimo nostro viaggio risposi io.
Allungai la mano destra e appoggiai l’indice sul circolo polare artico dell’Alaska.
Partiremo di qua…… dissi io, e poi facendo scorrere il polpastrello sulla carta, seguendo una linea posta verso ovest, attraversai tutto il continente Americano sino alla Patagonia, il punto più a sud della terra. Ed arriveremo sino qui…..aggiunsi.
Gisella si blocco, gli occhi scorrevano dall’alto verso il basso cercando di immaginare come due persone potessero, in moto, da sole, senza supporto esterno ed usufruendo delle sole ferie, riuscire in un viaggio così lungo.
Mi sarei aspettato una risposta tipica di chi vuole disilludere una proposta oscena. Invece la sua reazione la portò semplicemente a dire….mi piace, ok !
Se si può definire quando un viaggio inizia, il suo via non fu in Alaska, bensì quella sera davanti alla cartina.
Il coraggio o forse l’incoscienza di una volontà che non ha pari ci portò a vivere la preparazione del viaggio fra mille emozioni.
Quel sabato mattina lasciai Gisella a casa per recarmi in un ufficio dove, con il mio Amministratore Delegato, mi sarei incontrato per una riunione da me richiesta.
Gisella mi guardò uscire, mi strizzò l’occhio e con un sorriso sicuro mi disse andrà bene.
La riunione ebbe inizio verso le nove del mattino.
Il mio Amministratore era seduto di fronte a me, io in piedi proiettavo le immagini di una cartina sulla quale avevo tracciato una linea che attraversava il continente Americano.
Io parlavo e lui con sopracciglia ruvide fissava il monitor.
Giunto alla fine della mia presentazione arrivai alla domanda per la quale avevo richiesto la riunione. Il viaggio sarà lungo, non so quanti giorni dovrò stare via. Per questo ti chiedo di poter usufruire di un periodo di aspettativa.
Calò il silenzio, il mio capo si fece ancora più serio, trattenne il silenzio per alcuni secondi che, ancora oggi mi sembrano un eternità, poi disse….tu sei matto, per me va bene a patto che torni vivo, mi servi vivo.
Uscii dal suo ufficio, mi catapultai in strada verso la macchina, volevo volare a casa da Gisella per dirle che avevo l’ok.
Tutto questo però non prima di fermarmi vicino ad un cassonetto dell’immondizia, infilare la mano destra nella tasca interna della giacca, cercare quella busta bianca sul retro della quale vi era scritto “ All’attenzione dell’Amministratore Delegato Ing. …..” strapparla e poi gettarla via.
L’avevo preparata la sera prima, in accordo con Gisella, sarebbe stata la mia ultima spiaggia nel caso in cui non mi avessero dato l’ok.
Quando sei certo che per un sogno sia giusto rischiare tutto, ma proprio tutto, fallo ! In quella busta vi era la mia lettera di dimissioni “ ....
Vivere cercando di mantenere vivo il sorriso, la voglia di scoprire in chi ti è a fianco una sorgente sempre nuova di desideri, ecco magari tutto ciò pare non semplice.
In effetti semplice non è, ma non è neppure immaginabile quanto sia bello e importante riuscirvi.
Anche lassù, oltre a quel limite dove neppure l’ossigeno vuole abitarvi......
"La Pamir Highway, la seconda strada carrozzabile più alta al mondo, è in parte alle nostre spalle, in parte ancora dinnanzi a noi e solo qualche centimetro rappresenta il nostro presente, ovvero quel piccolo spazio che i nostri piedi possono calpestare in quella sera di Agosto, sull’unica strada di quella fatiscente cittadina posta a circa 4000 metri sul livello del mare.
Abbiamo trovato posto per la notte in una struttura che si fa chiamare hotel… In realtà la stanza ha una finestra con i vetri rotti, non c’è riscaldamento, la luce fioca della stanza è data da una sparuta lampadina posta sul soffitto e di tanto in tanto, si spegne.
Non ci sono letti bensì due materassi sudici appoggiati in terra. Il freddo dell’esterno, 3 gradi sotto lo zero, è lo stesso dell’interno a causa dell’inesistente finestra.
Ceniamo in ….hotel… una zuppa di grasso con parti non ben definite di carne.
Dopo cena, così come fanno la maggior parte delle coppie durante le vacanze, usciamo a fare due passi. Il freddo ci attanaglia il capo, le orecchie perdono la loro gommosa elasticità diventando ben presto due pezzi di cartone.
Alcuni cani randagi con il pelo sferzato dal vento ci osservano mentre noi, mano nella mano, raggiungiamo la fine del paese.
Le case in fango allungano le loro ombre grazie alla luce di una luna che illumina più del nostro abituale sole.
La passeggiata si chiude con l’ultimo sigaro della giornata e mentre soffio via il fumo mischiato con il vapore prodotto dal fiato, Gisella mi si pone davanti, mi guarda e sorridendomi mi stringe forte baciandomi.
Lassù, dove se davvero non ami non puoi, è matematico che tu non possa essere davvero felice, noi lo eravamo ! “ .....
Non ricordo esattamente quando iniziai ad amare, ma se qualcuno pensa di essere in grado di farmi un giorno smettere………ecco si sbaglia.
Ho promesso a me stesso e poi a chi mi dà ogni giorno la forza di vivere, di farlo sempre, farlo a prescindere, farlo con passione, farlo con la consapevolezza di tramutare un sogno in realtà in ogni istante.
Ho promesso, e sarà meraviglioso farlo, di arrivare un giorno, quel giorno….il mio ultimo giorno….guardare negli occhi Gisella così come lei guardò i miei nella nebbia di Capo Nord, prenderle le mani e cercando la forza di un ultimo sorriso dirle “ Hai visto che ci siamo riusciti ?
A te, che occhi scuri nella notte vivi per morire, chiunque tu sia, qualsiasi sia la tua nazionalità e la tua religione, dico Ciao, Hello, Salam o meglio ancora Salut.
A te, che guardandoti allo specchio vedi un uomo coraggioso, si proprio a te dico, che quello specchio è sporco, non riflette e inganna.
Il tuo coraggio è solo una apparente e momentanea sovra stimolazione celebrale innescata da quella droga che ti inietti e senza la quale, non prendertela, avresti paura.
La tua forza, quella che tu stesso mostri al mondo ogni qualvolta che con grande narcisismo ti fai fotografare, null’altro è che un arma.
Il tuo nemico, quello per il quale sei disposto a nebulizzare il tuo corpo, è lo stesso che si arricchisce vendendo gli strumenti di morte che impugni.
Ed infine il tuo credo, al quale mostro enorme rispetto, null’altro è se non una giustificazione con la quale qualcuno, è riuscito a rendere te stesso vittima prima ancora che tu ne possa generare altre.
Ho atteso giorni prima di scriverti, non volevo che le immagini, il sangue, le vittime, muovessero le mie dita sulla tastiera del computer senza che la mia mente non avesse prima potuto metabolizzare quanto sta accadendo.
Ho chiuso gli occhi, come spesso mi succede, per vedere meglio.
Ed ho visto te, giovane e spaesato, impaurito ed in fuga.
Ho visto un debole uomo che si nasconde da tutto e da tutti.
Gli stessi che ti hanno mandato ora ti cercano per punirti.
Coloro che hai trafitto invece, quasi in modo anacronistico, ti cercano per salvarti.
Ed ora che non hai più la tua droga, le tue armi, la tua forza ed il tuo coraggio, ora che sei diventato solo un’ombra, tu fuggi.
Di tutto ciò che avevi quando quella sera sei uscito di casa per mostrare al mondo la forza del tuo credo, ti è rimasto solo il credo.
Il tuo credo ed il mio sono apparentemente diversi.
Cambiano i nomi, i luoghi, gli anni.
Ciò che non cambia è il messaggio che danno, lo scopo per il quale qualcuno un giorno, visse e scrisse quei versi.
Che una vittima sia Afgana o Italiana, Siriana o Francese, Africana o Medio Orientale, Europea o Americana, per me………resta solo un vuoto immane che nessuno e mai più potrò colmare.
Perdo un amico, il mondo perde parte della sua forza, l’umanità perde a prescindere e nessuno, nessuno, vince.
Il nostro mondo, la televisione, i media, assuefanno.
Noi come bambini capricciosi ci abituiamo troppo in fretta e la morte, se lontana, quasi non ci colpisce più.
Restiamo attoniti quando questo accade vicino a noi, solo allora il nostro cuore inizia a battere forte ed il sangue porta veloce al cervello la paura.
Commettiamo un errore !
La vita, quella che sono certo anche tu vorresti vivere, vale più di ogni altra cosa in qualsiasi anfratto del nostro mondo.
La tua vita, che magari ritieni possa non essere importante, per me vale !
Se potessi escludere ed annullare l’egoismo del quale sono portatore, se solo potessi dare un valore alle nostre vite, senza dubbio potrei dire che la tua e la mia esistenza, hanno lo stesso, importante, imprescindibile senso di essere.
Non sei coraggioso tantomeno forte.
Lo sono state molto di più quelle persone che davanti a te cadevano, cercando con le parole di lottare per vivere.
Lo sono quelle donne, quei bambini, quegli uomini che, nonostante tutto, trovano la forza di vivere ogni giorno.
I bambini, già, quelle creature che nascono non perché lo vogliano ma perché noi stessi decidiamo che questo avvenga.
Quei piccoli uomini che spesso, sbagliando, facciamo finta siano già uomini.
Quei concentrati di esplosiva voglia di vivere, correre, saltare e conoscere.
Anche tu ed io lo siamo stati, seppur in luoghi diversi, sono certo che in mille cose mille momenti ci siamo assomigliati.
Giocavamo, anche quando in realtà la vita già ci assorbiva, per noi era un gioco.
Io ne ho due di bambine, ormai grandi ma per me sempre bambine.
Hanno giocato anche loro, come noi.
Poco alla volta, un giorno dopo l’altro si sono costruite la vita…..per viverla.
Ora sono lontane, ma non passa giorno che il mio pensiero non vada a loro, ai loro occhi, alle loro mani che ormai stringono quella di un altro uomo che non è più il loro papà.
Sogno per loro un sole caldo, un cielo sereno ed un’aria fresca.
Chiedo e urlo al mondo di non veder mai scomparire il sorriso dai loro volti.
Vivo……..nella speranza di veder sorgere altri sorrisi come il loro.
Sono certo di quel coraggio che loro hanno, di quella forza esplosiva che la loro voglia di vivere sa infondere negli altri.
Esattamente gli stessi pensieri e le stesse speranze che anche il tuo papà nutre.
Esattamente quei sorrisi che anche lui vedeva sul tuo volto.
Completamente diverso però, il modo di dimostrare la tua forza ed il tuo coraggio.
Ma c’è sempre un momento della vita di ognuno di noi dove, lo specchio inizia a riflettere nel modo giusto, non inganna più e ci mette di fronte a ciò che realmente siamo.
Ed è in quel momento che possiamo scegliere se chinare il capo e ruotare gli occhi per guardare altrove al fine di non dover ammettere che quell’immagine riflessa noi non la vogliamo.
Esiste quell’istante per il quale, se davvero siamo coraggiosi e forti, possiamo cambiare noi stessi.
In quell’istante, che saprà di immenso, forse ti sentirai svuotato, forse penserai di aver sbagliato tutto, forse ti accorgerai che ciò che eri e ciò che hai fatto è stato ignobile.
Quando lo farai, solo allora…..avrai dimostrato al mondo la tua forza ed il tuo coraggio !
Salam
Respiro l’aria fresca di questo giorno d’autunno mentre, una ad una le piante del parcheggio nel quale mi trovo si spogliano del loro abito che per mesi le ha, di vita, vestite.
Mi guardo attorno e vedo questo mio mondo lasciarsi andare, quasi sconfitto, abbandonarsi come stesse per inclinarsi su se stesso e chiudere gli occhi, immobile, inerme, sino a quando, nuovamente, tutto tornerà a vivere.
Un anno, come un giorno.
Un parallelismo di due istanti, diversamente lunghi ma simili fra loro nel trasmettere emozioni.
La primavera come il mattino, un sole che nasce, un cielo che illumina, un’aria che poco a poco si fa mite e fa sentire vivi, alimenta quel senso di futuro davanti a noi, scatenando il desiderio di sognare, progettare e partire.
L’estate come il mezzogiorno, Il caldo intenso di una terra che vive il suo momento più intenso.
"Tutti fuori" sembra gridare ad ognuno di noi.
Ed è lì che partiamo, andiamo lontani, fuggiamo verso luoghi che sino a quel momento erano nostri solo grazie alla capacità di sognare.
L’autunno come la sera, il sole si allontana, lo vedi scomparire dietro l’orizzonte, la temperatura scende inesorabilmente, le ombre si allungano e la tua mente passa dall’immaginare il futuro al ricordare il passato, ciò che è stato del tuo giorno, cosa hai visto, cosa hai fatto.
Si inizia a dare più spazio ai racconti piuttosto che costruirne di nuovi.
L’inverno come la notte, l’oscurità di un mondo che ti avvolge e quasi ti imprigiona impedendoti di volare. Il freddo ferma il mondo come in una istantanea che osservi a lungo senza mai notare un movimento, un cambio di colore, una forma di vita nuova.
Per chi come noi vive di vita e non di ricordi, questo è il momento più difficile.
La mente quasi cessa di guardare avanti e voltandosi indietro fa risalire istanti, pensieri, paure costringendoci a rielaborarle, rimasticarle come la mucca rumina l’erba ore dopo averla ingurgitata.
Analizziamo ogni passaggio di questo anno o questo giorno che sia.
Rivediamo i volti di chi abbiamo incontrato.
Ripetiamo a mente le battute, le frasi che ci hanno fatto sorridere e cerchiamo di cementarle nel nostro cuore al fine di fare scorta di pensieri felici per i mesi futuri.
Pensiamo alle cose accadute, ai cambiamenti che ci sono piovuti addosso senza che magari potessimo evitarli.
Pensiamo e ci preoccupiamo sempre per gli altri, magari lasciando andare noi stessi come gli alberi che di fronte a noi si stanno spogliando del loro essere, divenendo scialbi, grigi e all’apparenza tutti uguali fra loro.
Sono venticinque anni che qualcosa o qualcuno mi salta addosso come un demonio una volta all’anno almeno ricordandomi che, forse e per fortuna, non siamo tutti uguali.
Ma soprattutto questa mia compagna di vita dovrebbe aiutarmi a ricordare che ogni tanto, seppur possa sembrare egoistico e poco altruistico, ognuno di noi dovrebbe cercare di regalare la massima attenzione alla persona più importante, ovvero noi stessi.
Difficilmente ci si riesce.
La nostra natura ci porta a considerare noi stessi come un accessorio o forse un aiuto per le persone alle quali vogliamo bene, dimenticandoci però che anche noi valiamo.
Sono venticinque anni che mischio il mio sangue con un qualcosa che stringe le vene, ne riduce l’afflusso al cervello, spazzando via quel dolore che talvolta diviene insopportabile.
Chissà quanto ancora il mio cuore resisterà ?
Chissà per quanto ancora, anche il mio cuore così come il corpo che lo avvolge, urlerà al mondo: mai mollare !!
Meglio non avere queste risposte, meglio rialzare lo sguardo verso quella betulla che non è neppure più in grado di fare ombra a se stessa tanto è nuda e mai dimenticare che domani mattina, o forse meglio dire la prossima primavera, anche lei tornerà a rivivere.
Sarà bella, brillante e sorridente.
Sarà lì ad aspettarci per mostrarci quanto forte sia stata nel superare questa notte.
La notte che verrà si sta avvicinando, i passi alpini ormai ricoperti di neve ci costringono a lottare per poter respirare ancora una boccata di quell’aria libera.
Ma chi non lotta non conquista e chi non conquista non realizza sogni.
Per questo io non mollo, e con me…..neppure il mio cuore !
Quando inizia il viaggio: In moto fino all’impero di Gengis Khan
“Quando ci si smarrisce, i progetti lasciano il posto alle sorprese, ed è allora che il viaggio comincia: Una Moto Guzzi, più di 20 mila chilometri, 9 Stati e 7 fusi orari, in 31 giorni
Un viaggio lungo e scomodo: una tenda ultra leggera, un fornelletto a benzina e alcune buste di minestra liofilizzata sono tutto ciò che è servito a Gianni Reinaudo e alla moglie Gisella per un viaggio di 20.500km in soli 31 giorni (attraverso 9 Stati e 7 fusi orari). Sono partiti da Mandello del Lario per arrivare a Ulan Bator e ritorno. Sono passati attraverso la Bielorussia, Russia e Siberia fino ad entrare in Mongolia dal Lago Baikal. Una Moto Guzzi (Stelvio 1200 NTX) e solo 300 km di strade asfaltate.
Ecco il racconto di questo viaggio straordinario:
TI prego, non andare giù, aspetta.Il sole inesorabilmente tramonta alle nostre spalle, la luce del giorno gradatamente si affievolisce e le nostre pupille iniziano a dilatarsi al fine di permettere ai nostri occhi di adeguarsi al buio che inizia ad avvolgerci. La strada deserta che dinnanzi a noi pare non finire, si stringe all’orizzonte senza mai dare un tangibile segno di vita. La Siberia, cuore estremo di una Russia sconfinata, sembra che di colpo ci sia nemica. La nostra moto, anima meccanica e cuore rumoroso in quella notte di inizio Agosto 2011, ci spinge a proseguire, cercare, mai mollare.
Dagli specchietti retrovisori scorgo delle luci di auto che in lontananza, a grande velocità si avvicinano. Ci raggiungono, ci sorpassano, e mentre questo accade, dall’ abitacolo della prima delle due auto, un uomo, con dentatura d’oro, si avvicina al finestrino, mi guarda con occhi di ghiaccio, mostra qualcosa che vorrei non si fosse trattato di una pistola ma credo, purtroppo, di poter dire che di quello si trattasse. L’auto sterza verso destra, quasi ci urta con il rischio di farci finire nel fossato. Io freno bruscamente, l’auto ci precede ma anch’essa frena e si fa raggiungere. Accelero, li supero e cerco di distanziarli, ma loro sono veloci e ci raggiungono nuovamente. Attendo che mi siano di fianco, freno nuovamente e mi fermo. Attendiamo qualche minuto, l’auto scompare nel buio della notte siberiana. Ripartiamo con il cuore in gola, percorro alcune centinaia di metri sino a quando scorgo una stradina sterrata che scende verso destra sino ad una casetta in legno del distributore di carburante. Mi ci infilo, aggiro la casetta in modo tale da renderla come scudo visivo verso la strada.
Parcheggio la moto, spengo il motore e nel silenzio immacolato di un luogo terreno distante mille pensieri da casa, Gisella ed io rimaniamo in silenzio. Da est vediamo delle luci sulla strada, l’auto di prima sta tornando indietro. Si muove lentamente, forse ci sta cercando. Noi ci nascondiamo dietro la casetta in legno, vorrei parlare al cuore e dirgli di pulsare meno rumorosamente, vorrei dire al mio fiato di rallentare perché, causa la bassa temperatura della notte, potrebbero vedere il “fumo” del mio respiro. L’auto silenziosamente e lentamente passa e noi, mano nella mano, stretti come due bambini che giocano a nascondino, ci guardiamo. Con una smorfia che è un misto fra paura e soddisfazione, riusciamo a trovare il tempo, la forza ed il desiderio di darci un bacio, stringerci forte e sorridere.
Il viaggio, il nostro viaggio……..inizia ora.
Partiti giorni prima dall’Italia, Gisella ed io, soli, consapevolmente consci delle difficoltà ma altrettanto motivati a trasformarle in grandi ed indelebili ricordi, puntiamo verso Est, sino alla capitale Mongola di Ulaanbaatar, dove allora, e solo allora ruoteremo la nostra moto verso Ovest nel cercare di ritornare a casa. Parti con una sola certezza, quella di andare per cercare ciò che rende il mondo potenzialmente un immenso gruppo di sette miliardi di amici, parti per cercare e prima ancora donare…un sorriso.
Prima della partenza, sapendo che non saremmo riusciti a percorrere tutto il viaggio con un solo treno di gomme, spedimmo un pacco all’aeroporto di Ulaanbaatar. Il pacco, similare ad un pacco esplosivo, di forma circolare, conteneva due pneumatici nuovi ed alcuni barattoli di olio motore incastonati all’interno. Il tutto racchiuso dentro a centinaia di metri di nastro adesivo per pacchi, avvolto con cura meticolosa durante una afosa serata di fine Luglio nel nostro garage.
Avvolti dalla polvere delle strade della capitale che, per chi non sia mai stato in Mongolia, non cerco neppure di descrivere in quanto per essere credibile dovrei necessariamente definire infernali mentre forse l’aggettivo giusto non esiste, arriviamo nei pressi dell’ostello che avevamo identificato per le due notti successive. La stanza è minimalista, due brande in legno con materassi i quali, forse, avrebbero più storie loro da raccontare che non il sottoscritto, ci danno il benvenuto. A noi pare una reggia in confronto alla notte passata nascosti dietro la casupola di legno in Siberia giusto due giorni prima e, con il senno di poi, alle notti passate sotto il cielo della Mongolia.
Dopo poche ore, la moto è pronta. Gomme tassellate nuove per poter affrontare i quasi 2000 km di piste sterrate della Mongolia, olio nuovo, freni nuovi e soprattutto un nostro nuovo, profondo e sconfinato sorriso.
Il mattino successivo piove e le strade di Ulaanbaatar sono un intreccio di fango. È presto, sono circa le 6 e noi non vogliamo mancare ad un appuntamento.
Ciò che diede origine a questo viaggio fu la storia di un uomo.
Un uomo crudele, spietato, ma nel suo contempo valoroso e coraggioso. Riuscì a riunire tutte le tribù dell’estremo Est conquistando aree geografiche immense, uccidendo gli uomini e stuprando le donne. Pare, che in piccole percentuali, anche noi e quindi forse anche io, potremmo discendere ancora da Gengis Khan. Non si sa dove sia nato quest’uomo, ma si conosce dove sia morto. Oggi in quel luogo vi è un monumento enorme, enorme come la fama di costui, enorme come la voglia di conoscere di Gisella ed io. Ci recammo la, ad Est della capitale nonostante la direzione giusta per tornare a casa fosse l’ovest.
Riattraversiamo Ulaanbaatar e puntiamo verso Ovest.