domenica 24 maggio 2015

Addio Zenobia, Regina Guerriera

È soltanto la metà di Maggio di un, ormai lontano ,2009 ma il sole di quel luogo batte forte sui nostri caschi rendendo l’aria al loro interno tanto cocente quanto irrespirabile.
Dopo essere partiti dall’Italia ed esserci diretti verso Est, abbiamo attraversato per la prima volta la tanto amata Turchia, e poi giù, verso Sud puntando alla Giordania ma ben sapendo che per noi, il vero respiro del viaggio, lo avremmo trovato solo una volta diretti nuovamente a Nord, in Siria, viaggiando sul confine Iracheno, sino a giungere a casa della regina Guerriera. 
Una donna, coraggiosa e forte, tanto astuta da essere in grado di respingere gli attacchi dell’allora potentissimo impero Romano. 
Arrivammo verso le sei di sera a casa sua Gisella ed io. La moto stanca quasi quanto noi, aveva viaggiato tutto il giorno scavando gallerie in una tempesta di sabbia che impediva sia la vista che il respiro. Avevamo gli occhi rossi a causa della sabbia penetrata nel frattempo ovunque. 
Ma superata quell’ultima piccola duna sulla quale la strada si inerpicava, ecco laggiù in cima ad una montagna di roccia, la sua casa anzi, il suo castello. 
Un colore rosso fuoco, reso ancor più acceso dal sole della sera faceva splendere i bastioni del castello come le luci di un candelabro orientale posto al centro di una tavola imbandita. 
Arresto la moto, sollevo la visiera graffiata dalla tempesta di sabbia e, seguendo il profilo della montagna scendo con lo sguardo sino alla valle sovrastata da essa. 
I resti della città vecchia si ergono verso il cielo come braccia che salutano il sole, che abbracciano l’universo ringraziando la luna che nel frattempo si impadronisce degli spazi celesti. 
Dovremmo cercare un luogo dove dormire Gisella ed io in quel luogo così tanto lontano e così tanto ostile ai viaggiatori. Si forse dovremmo farlo, ma quella sera di Maggio, quasi come se un pensiero premonitore ci avesse avvisato, decidemmo che quella non doveva essere la cosa prioritaria. 
Ingranai la prima marcia e, cercando di diffondere il minor rumore possibile, mi avvicinai a quelle rovine rimaste intatte per secoli, facendosi forza sulle loro stesse pietre, quelle pietre che uomini come me, cotti dal sole, sferzati dal vento, per amore della loro regina guerriera, secoli or sono deposero creando una citta immortale e, con maestria divina, resero forti come la regina stessa. 
Il sole scendeva lentamente dietro al castello di Zenobia, o forse era proprio il castello ad impadronirsi della scena, mentre Gisella ed io, a bordo del nostro cammello motorizzato, entravamo sulle stradine di sabbia della città vecchia. 
Eravamo soli, ma senza paura, senza quel timore che soltanto qualche giorno fa abbiamo avvertito addosso viaggiando sulle rive del fiume Po a pochi passi da casa nostra. 
Ci sentivamo parte di un mondo immortale, di una storia fatta di donne e uomini forti, coraggiosi, in grado trasformare il nulla in sogno, la sabbia in arte, la sete in desiderio ed il viso in un sorriso. 
Ci recammo lassù, sino in cima al castello di Zenobia, dove per la prima volta dopo migliaia di chilometri lasciammo la moto da sola per arrampicarci sul punto più alto, quel punto da dove tutto il mondo pare visibile, quel punto da dove ti pare di poter toccare con le dita anche la duna più lontana, un punto talmente alto che anche da dietro l’orizzonte si è visibili. 

Quel preciso punto, a casa di Zenobia, non più tardi di un Maggio 2015, senza che il mio casco fosse più graffiato dalla sabbia, senza che le mie labbra fossero più tagliate dal sole e sanguinolenti a causa del vento, bensì mentre con il dito pollice accendo la televisione da casa mia, lo rivedo. 
Una lunga ombra nera si staglia su di esso, il vento amico che sollevava la sabbia accecandoci mentre noi cercavamo di lasciare gli occhi aperti il più lungo possibile, ora muove e sventola una bandiera. 
È nera, come nera è la luce attorno ad essa. 
Resa ancor più nera dai fumi delle armi, dei colpi di fucile e dall’odore acre dei corpi mutilati lasciati marcire sulle strade della città vecchia percorse da Gisella ed io. 
Donne, bambini, uomini, un mondo, una citta immortale, in grado di resistere all’impero romano d’occidente. 
Ora tutto questo non esiste più. 
Quei visi,quelle donne, quei bambini che vedendoci arrivare in moto ci corsero incontro ora, probabilmente non sono null’altro che cibo per avvoltoi,erano nostri amici ! 
Erano parte della nostra storia, erano la forza che ci spinge ogni giorno nella ricerca di un nuovo incontro e di un nuovo sconosciuto ma interminabile abbraccio. 
Ora siete un ricordo, un qualcosa che ho in me, un momento di vita che conserverò come fra i più preziosi. 
In quelle strade che la sabbia ha cercato per secoli di inghiottire, su quelle colonne che né il vento, né le lontane battaglie sono riuscite ad abbattere, ci siete voi, con tutto il vostro essere, con tutta la vostra grandezza e con quei sorrisi che oggi, una bandiera nera, ha annientato. 
Addio amici, non passerà giorno che un mio pensiero non venga al vento regalato, affinché con il suo soffiare, vi cerchi, ovunque voi siate ……. 
Addio Zenobia, nella tua casa ci hai accolto come principi di un deserto lontano. 
Addio Palmira !









Nessun commento:

Posta un commento