mercoledì 25 novembre 2015

Lettera ad un Terrorista

A te, che occhi scuri nella notte vivi per morire, chiunque tu sia, qualsiasi sia la tua nazionalità e la tua religione, dico Ciao, Hello, Salam o meglio ancora Salut. 
A te, che guardandoti allo specchio vedi un uomo coraggioso, si proprio a te dico, che quello specchio è sporco, non riflette e inganna. 
Il tuo coraggio è solo una apparente e momentanea sovra stimolazione celebrale innescata da quella droga che ti inietti e senza la quale, non prendertela, avresti paura. 
La tua forza, quella che tu stesso mostri al mondo ogni qualvolta che con grande narcisismo ti fai fotografare, null’altro è che un arma. 
Il tuo nemico, quello per il quale sei disposto a nebulizzare il tuo corpo, è lo stesso che si arricchisce vendendo gli strumenti di morte che impugni. 
Ed infine il tuo credo, al quale mostro enorme rispetto, null’altro è se non una giustificazione con la quale qualcuno, è riuscito a rendere te stesso vittima prima ancora che tu ne possa generare altre. 
Ho atteso giorni prima di scriverti, non volevo che le immagini, il sangue, le vittime, muovessero le mie dita sulla tastiera del computer senza che la mia mente non avesse prima potuto metabolizzare quanto sta accadendo. 
Ho chiuso gli occhi, come spesso mi succede, per vedere meglio. 
Ed ho visto te, giovane e spaesato, impaurito ed in fuga. 
Ho visto un debole uomo che si nasconde da tutto e da tutti. 
Gli stessi che ti hanno mandato ora ti cercano per punirti. 
Coloro che hai trafitto invece, quasi in modo anacronistico, ti cercano per salvarti. 
Ed ora che non hai più la tua droga, le tue armi, la tua forza ed il tuo coraggio, ora che sei diventato solo un’ombra, tu fuggi. 
Di tutto ciò che avevi quando quella sera sei uscito di casa per mostrare al mondo la forza del tuo credo, ti è rimasto solo il credo. 
Il tuo credo ed il mio sono apparentemente diversi. 
Cambiano i nomi, i luoghi, gli anni. 
Ciò che non cambia è il messaggio che danno, lo scopo per il quale qualcuno un giorno, visse e scrisse quei versi. 
Che una vittima sia Afgana o Italiana, Siriana o Francese, Africana o Medio Orientale, Europea o Americana, per me………resta solo un vuoto immane che nessuno e mai più potrò colmare. 
Perdo un amico, il mondo perde parte della sua forza, l’umanità perde a prescindere e nessuno, nessuno, vince. 
Il nostro mondo, la televisione, i media, assuefanno. 
Noi come bambini capricciosi ci abituiamo troppo in fretta e la morte, se lontana, quasi non ci colpisce più. 
Restiamo attoniti quando questo accade vicino a noi, solo allora il nostro cuore inizia a battere forte ed il sangue porta veloce al cervello la paura. 
Commettiamo un errore ! 
La vita, quella che sono certo anche tu vorresti vivere, vale più di ogni altra cosa in qualsiasi anfratto del nostro mondo. 
La tua vita, che magari ritieni possa non essere importante, per me vale ! 
Se potessi escludere ed annullare l’egoismo del quale sono portatore, se solo potessi dare un valore alle nostre vite, senza dubbio potrei dire che la tua e la mia esistenza, hanno lo stesso, importante, imprescindibile senso di essere. 
Non sei coraggioso tantomeno forte. 
Lo sono state molto di più quelle persone che davanti a te cadevano, cercando con le parole di lottare per vivere.
Lo sono quelle donne, quei bambini, quegli uomini che, nonostante tutto, trovano la forza di vivere ogni giorno. 
I bambini, già, quelle creature che nascono non perché lo vogliano ma perché noi stessi decidiamo che questo avvenga. 
Quei piccoli uomini che spesso, sbagliando, facciamo finta siano già uomini. 
Quei concentrati di esplosiva voglia di vivere, correre, saltare e conoscere. 
Anche tu ed io lo siamo stati, seppur in luoghi diversi, sono certo che in mille cose mille momenti ci siamo assomigliati. 
Giocavamo, anche quando in realtà la vita già ci assorbiva, per noi era un gioco. 
Io ne ho due di bambine, ormai grandi ma per me sempre bambine. Hanno giocato anche loro, come noi. Poco alla volta, un giorno dopo l’altro si sono costruite la vita…..per viverla. 
Ora sono lontane, ma non passa giorno che il mio pensiero non vada a loro, ai loro occhi, alle loro mani che ormai stringono quella di un altro uomo che non è più il loro papà. 
Sogno per loro un sole caldo, un cielo sereno ed un’aria fresca. 
Chiedo e urlo al mondo di non veder mai scomparire il sorriso dai loro volti. 
Vivo……..nella speranza di veder sorgere altri sorrisi come il loro. 
Sono certo di quel coraggio che loro hanno, di quella forza esplosiva che la loro voglia di vivere sa infondere negli altri. 
Esattamente gli stessi pensieri e le stesse speranze che anche il tuo papà nutre. 
Esattamente quei sorrisi che anche lui vedeva sul tuo volto. 
Completamente diverso però, il modo di dimostrare la tua forza ed il tuo coraggio. 
Ma c’è sempre un momento della vita di ognuno di noi dove, lo specchio inizia a riflettere nel modo giusto, non inganna più e ci mette di fronte a ciò che realmente siamo. 
Ed è in quel momento che possiamo scegliere se chinare il capo e ruotare gli occhi per guardare altrove al fine di non dover ammettere che quell’immagine riflessa noi non la vogliamo. 
Esiste quell’istante per il quale, se davvero siamo coraggiosi e forti, possiamo cambiare noi stessi. In quell’istante, che saprà di immenso, forse ti sentirai svuotato, forse penserai di aver sbagliato tutto, forse ti accorgerai che ciò che eri e ciò che hai fatto è stato ignobile. 
Quando lo farai, solo allora…..avrai dimostrato al mondo la tua forza ed il tuo coraggio ! Salam

 

giovedì 5 novembre 2015

Come una betulla

Respiro l’aria fresca di questo giorno d’autunno mentre, una ad una le piante del parcheggio nel quale mi trovo si spogliano del loro abito che per mesi le ha, di vita, vestite. 
Mi guardo attorno e vedo questo mio mondo lasciarsi andare, quasi sconfitto, abbandonarsi come stesse per inclinarsi su se stesso e chiudere gli occhi, immobile, inerme, sino a quando, nuovamente, tutto tornerà a vivere. 
Un anno, come un giorno. 
Un parallelismo di due istanti, diversamente lunghi ma simili fra loro nel trasmettere emozioni. 
La primavera come il mattino, un sole che nasce, un cielo che illumina, un’aria che poco a poco si fa mite e fa sentire vivi, alimenta quel senso di futuro davanti a noi, scatenando il desiderio di sognare, progettare e partire. 
L’estate come il mezzogiorno, Il caldo intenso di una terra che vive il suo momento più intenso. 
"Tutti fuori" sembra gridare ad ognuno di noi. 
Ed è lì che partiamo, andiamo lontani, fuggiamo verso luoghi che sino a quel momento erano nostri solo grazie alla capacità di sognare. 
L’autunno come la sera, il sole si allontana, lo vedi scomparire dietro l’orizzonte, la temperatura scende inesorabilmente, le ombre si allungano e la tua mente passa dall’immaginare il futuro al ricordare il passato, ciò che è stato del tuo giorno, cosa hai visto, cosa hai fatto. 
Si inizia a dare più spazio ai racconti piuttosto che costruirne di nuovi. 
L’inverno come la notte, l’oscurità di un mondo che ti avvolge e quasi ti imprigiona impedendoti di volare. Il freddo ferma il mondo come in una istantanea che osservi a lungo senza mai notare un movimento, un cambio di colore, una forma di vita nuova. 
Per chi come noi vive di vita e non di ricordi, questo è il momento più difficile. 
La mente quasi cessa di guardare avanti e voltandosi indietro fa risalire istanti, pensieri, paure costringendoci a rielaborarle, rimasticarle come la mucca rumina l’erba ore dopo averla ingurgitata.
Analizziamo ogni passaggio di questo anno o questo giorno che sia. 
Rivediamo i volti di chi abbiamo incontrato. 
 Ripetiamo a mente le battute, le frasi che ci hanno fatto sorridere e cerchiamo di cementarle nel nostro cuore al fine di fare scorta di pensieri felici per i mesi futuri. 
Pensiamo alle cose accadute, ai cambiamenti che ci sono piovuti addosso senza che magari potessimo evitarli. 
Pensiamo e ci preoccupiamo sempre per gli altri, magari lasciando andare noi stessi come gli alberi che di fronte a noi si stanno spogliando del loro essere, divenendo scialbi, grigi e all’apparenza tutti uguali fra loro. 
Sono venticinque anni che qualcosa o qualcuno mi salta addosso come un demonio una volta all’anno almeno ricordandomi che, forse e per fortuna, non siamo tutti uguali. 
Ma soprattutto questa mia compagna di vita dovrebbe aiutarmi a ricordare che ogni tanto, seppur possa sembrare egoistico e poco altruistico, ognuno di noi dovrebbe cercare di regalare la massima attenzione alla persona più importante, ovvero noi stessi. 
Difficilmente ci si riesce. 
La nostra natura ci porta a considerare noi stessi come un accessorio o forse un aiuto per le persone alle quali vogliamo bene, dimenticandoci però che anche noi valiamo. 
Sono venticinque anni che mischio il mio sangue con un qualcosa che stringe le vene, ne riduce l’afflusso al cervello, spazzando via quel dolore che talvolta diviene insopportabile. 
Chissà quanto ancora il mio cuore resisterà ? 
Chissà per quanto ancora, anche il mio cuore così come il corpo che lo avvolge, urlerà al mondo: mai mollare !! 
Meglio non avere queste risposte, meglio rialzare lo sguardo verso quella betulla che non è neppure più in grado di fare ombra a se stessa tanto è nuda e mai dimenticare che domani mattina, o forse meglio dire la prossima primavera, anche lei tornerà a rivivere. 
Sarà bella, brillante e sorridente. 
Sarà lì ad aspettarci per mostrarci quanto forte sia stata nel superare questa notte. 
La notte che verrà si sta avvicinando, i passi alpini ormai ricoperti di neve ci costringono a lottare per poter respirare ancora una boccata di quell’aria libera. 
Ma chi non lotta non conquista e chi non conquista non realizza sogni. 
Per questo io non mollo, e con me…..neppure il mio cuore !






domenica 27 settembre 2015

Articolo per Medium Italia



    Quando inizia il viaggio: In moto fino all’impero di Gengis Khan


“Quando ci si smarrisce, i progetti lasciano il posto alle sorprese, ed è allora che il viaggio comincia: Una Moto Guzzi, più di 20 mila chilometri, 9 Stati e 7 fusi orari, in 31 giorni


Un viaggio lungo e scomodo: una tenda ultra leggera, un fornelletto a benzina e alcune buste di minestra liofilizzata sono tutto ciò che è servito a Gianni Reinaudo e alla moglie Gisella per un viaggio di 20.500km in soli 31 giorni (attraverso 9 Stati e 7 fusi orari). Sono partiti da Mandello del Lario per arrivare a Ulan Bator e ritorno. Sono passati attraverso la Bielorussia, Russia e Siberia fino ad entrare in Mongolia dal Lago Baikal. Una Moto Guzzi (Stelvio 1200 NTX) e solo 300 km di strade asfaltate.










































































Ecco il racconto di questo viaggio straordinario:


TI prego, non andare giù, aspetta. Il sole inesorabilmente tramonta alle nostre spalle, la luce del giorno gradatamente si affievolisce e le nostre pupille iniziano a dilatarsi al fine di permettere ai nostri occhi di adeguarsi al buio che inizia ad avvolgerci. La strada deserta che dinnanzi a noi pare non finire, si stringe all’orizzonte senza mai dare un tangibile segno di vita. La Siberia, cuore estremo di una Russia sconfinata, sembra che di colpo ci sia nemica. La nostra moto, anima meccanica e cuore rumoroso in quella notte di inizio Agosto 2011, ci spinge a proseguire, cercare, mai mollare.

Dagli specchietti retrovisori scorgo delle luci di auto che in lontananza, a grande velocità si avvicinano. Ci raggiungono, ci sorpassano, e mentre questo accade, dall’ abitacolo della prima delle due auto, un uomo, con dentatura d’oro, si avvicina al finestrino, mi guarda con occhi di ghiaccio, mostra qualcosa che vorrei non si fosse trattato di una pistola ma credo, purtroppo, di poter dire che di quello si trattasse. L’auto sterza verso destra, quasi ci urta con il rischio di farci finire nel fossato. Io freno bruscamente, l’auto ci precede ma anch’essa frena e si fa raggiungere. Accelero, li supero e cerco di distanziarli, ma loro sono veloci e ci raggiungono nuovamente. Attendo che mi siano di fianco, freno nuovamente e mi fermo. Attendiamo qualche minuto, l’auto scompare nel buio della notte siberiana. Ripartiamo con il cuore in gola, percorro alcune centinaia di metri sino a quando scorgo una stradina sterrata che scende verso destra sino ad una casetta in legno del distributore di carburante. Mi ci infilo, aggiro la casetta in modo tale da renderla come scudo visivo verso la strada.

Parcheggio la moto, spengo il motore e nel silenzio immacolato di un luogo terreno distante mille pensieri da casa, Gisella ed io rimaniamo in silenzio. Da est vediamo delle luci sulla strada, l’auto di prima sta tornando indietro. Si muove lentamente, forse ci sta cercando. Noi ci nascondiamo dietro la casetta in legno, vorrei parlare al cuore e dirgli di pulsare meno rumorosamente, vorrei dire al mio fiato di rallentare perché, causa la bassa temperatura della notte, potrebbero vedere il “fumo” del mio respiro. L’auto silenziosamente e lentamente passa e noi, mano nella mano, stretti come due bambini che giocano a nascondino, ci guardiamo. Con una smorfia che è un misto fra paura e soddisfazione, riusciamo a trovare il tempo, la forza ed il desiderio di darci un bacio, stringerci forte e sorridere.

Il viaggio, il nostro viaggio……..inizia ora.


Partiti giorni prima dall’Italia, Gisella ed io, soli, consapevolmente consci delle difficoltà ma altrettanto motivati a trasformarle in grandi ed indelebili ricordi, puntiamo verso Est, sino alla capitale Mongola di Ulaanbaatar, dove allora, e solo allora ruoteremo la nostra moto verso Ovest nel cercare di ritornare a casa. Parti con una sola certezza, quella di andare per cercare ciò che rende il mondo potenzialmente un immenso gruppo di sette miliardi di amici, parti per cercare e prima ancora donare…un sorriso.


Prima della partenza, sapendo che non saremmo riusciti a percorrere tutto il viaggio con un solo treno di gomme, spedimmo un pacco all’aeroporto di Ulaanbaatar. Il pacco, similare ad un pacco esplosivo, di forma circolare, conteneva due pneumatici nuovi ed alcuni barattoli di olio motore incastonati all’interno. Il tutto racchiuso dentro a centinaia di metri di nastro adesivo per pacchi, avvolto con cura meticolosa durante una afosa serata di fine Luglio nel nostro garage.

Avvolti dalla polvere delle strade della capitale che, per chi non sia mai stato in Mongolia, non cerco neppure di descrivere in quanto per essere credibile dovrei necessariamente definire infernali mentre forse l’aggettivo giusto non esiste, arriviamo nei pressi dell’ostello che avevamo identificato per le due notti successive. La stanza è minimalista, due brande in legno con materassi i quali, forse, avrebbero più storie loro da raccontare che non il sottoscritto, ci danno il benvenuto. A noi pare una reggia in confronto alla notte passata nascosti dietro la casupola di legno in Siberia giusto due giorni prima e, con il senno di poi, alle notti passate sotto il cielo della Mongolia.

Dopo poche ore, la moto è pronta. Gomme tassellate nuove per poter affrontare i quasi 2000 km di piste sterrate della Mongolia, olio nuovo, freni nuovi e soprattutto un nostro nuovo, profondo e sconfinato sorriso.

Il mattino successivo piove e le strade di Ulaanbaatar sono un intreccio di fango. È presto, sono circa le 6 e noi non vogliamo mancare ad un appuntamento.

Ciò che diede origine a questo viaggio fu la storia di un uomo.

Un uomo crudele, spietato, ma nel suo contempo valoroso e coraggioso. Riuscì a riunire tutte le tribù dell’estremo Est conquistando aree geografiche immense, uccidendo gli uomini e stuprando le donne. Pare, che in piccole percentuali, anche noi e quindi forse anche io, potremmo discendere ancora da Gengis Khan. Non si sa dove sia nato quest’uomo, ma si conosce dove sia morto. Oggi in quel luogo vi è un monumento enorme, enorme come la fama di costui, enorme come la voglia di conoscere di Gisella ed io. Ci recammo la, ad Est della capitale nonostante la direzione giusta per tornare a casa fosse l’ovest.

Riattraversiamo Ulaanbaatar e puntiamo verso Ovest.

Segue su .... 

https://medium.com/italia/quando-davvero-il-viaggio-inizia-sulle-orme-di-gengis-khan-ab7daa68563f




domenica 30 agosto 2015

Ricordi di Mongolia - Invito alla conferenza presso il Museo dell'Auto di Torino

Tornai da quel viaggio con la consapevolezza di aver compiuto, nel mio piccolo qualcosa di grande. 
Ancora non sapevo che il destino mi avrebbe posto di fronte a prove ben più difficili ed in qualche misura, a quel viaggio, collegate. 
Per questo, quasi senza gratitudine per quei luoghi e per tutta la fatica profusa nel cercare di attraversarli, decidemmo in modo inconscio di dimenticare. 
Ma con il passare del tempo ci accorgemmo che dimenticare non è giusto. 
Superare, ricominciare, ricostruire, riamare......questa è la soluzione. 
Dimenticare vuol dire cancellare, ignorare, rinnegare...........e la Mongolia, quel luogo denso di emozioni così forti e fra loro contrastanti, non lo merita ! 
Chiuderemo gli occhi e soffiando sulla polvere che solo apparentemente ricopre i ricordi di un viaggio compiuto nel 2011 lo racconteremo. 
La partenza da casa, attraversando la Polonia, Bielorussia, tutta l'immensa Russia e la Siberia, sino ad entrare in Mongolia per poi, non ancora dissetati dalla nostra voglia di conoscere, attraversare tutta la Mongolia in sterrato e far rientro a casa. 
Un viaggio di 20500 km, in moto, Gisella ed io, noi due soli in un mondo così lontano e tanto difficile da mettere a nudo la nostra infinita debolezza. 
Tutto questo, se desiderate, sarà a voi raccontato alla conferenza che si terrà al Museo dell'Auto di Torino il giorno 23 di Settembre, dove la moto del viaggio insieme alla tenda è esposta in un area dedicata.
A seguire troverete l'invito ufficiale per partecipare alla conferenza , basta scaricarlo. 
Se deciderete di onorarci con la vostra presenza, noi cerceremo di...............portarvi in Mongolia !



mercoledì 19 agosto 2015

Islanda - Cristalli di storia

Nell'inseguire un sole sfuggente e spesso flebile, abbiamo disegnato in modo astratto un tragitto che osservato dall'alto della traccia lasciata dal nostro trasmettitore satellitare sulla cartina digitalizzata dell'Islanda pare essere una contorsione impazzita di chi non sa bene dove andare.
In realtà la gioia e l'entusiasmo con i quali ci alziamo al mattino, carichiamo la moto e partiamo, non sarebbero tali se non avessimo ben chiaro la direzione da seguire, se non vi fosse sempre e comunque un progetto, una idea, una meta.
La differenza rispetto altri viaggi passati consiste solo nel fatto che quest'anno non dobbiamo per forza muoverci in modo lineare, seguendo una direzione ben precisa.
Siamo un po' come dei fortunati " reclusi " su quest'isola che su un territorio vasto ma non infinito regala ad ogni chilometro emozioni differenti.
Sta a noi saperle cogliere, sta a noi saperle far emergere dalle difficoltà di un viaggio dove il freddo, la pioggia e la nebbia potrebbero in qualche misura destabilizzare il viaggiatore.
Con questo non voglio dire che sia bello alzarsi al mattino sotto una pioggia battente e 6 gradi di temperatura dopo una notte passata a scommettere sulla tenuta dei picchetti che fissano la tenda in terra tanto forte e violento era il vento.
Vero, verissimo che il nostro amore per la natura e tutto ciò che essa ci regala è sopra ogni limite pensabile, ma il sadomasochismo del campeggiatore bagnato fradicio ed infreddolito non fa parte delle esperienze che cerco.
Pecçato che recarsi in Islanda senza mettere in conto questo, sarebbe pura eresia.
Si è in un luogo dove occorre meravigliarsi e stupirsi del fatto che vi sia il sole, dove i bambini giocano, corrono, mangiano il gelato, vanno in bicicletta esattamente come i nostri bambini, ma loro lo fanno indipendentemente dal meteo, che ci sia nebbia, che piova, che faccia un freddo porco o vi sia il sole.
Siamo in estate ragazzi, non dimentichiamoci che è estate per tutti !
È estate anche in quei luoghi dove per 6 mesi all'anno la luce del sole non produce ombra e non perché sia nuvolo, bensì per via del fatto che è notte o penombra 24 ore al giorno.
Può piacere o non piacere, ma è una parte importante e non piccola del nostro mondo quasi rotondo, fatto così per essere sempre caldo in alcuni luoghi e sempre freddo in altri.
Le culture cambiano il loro modo di vivere la giornata sulla base del clima che la nostra terra ci regala.
Cambia il nostro aspetto fisico, il colore dei capelli, cambia quanto gli occhi siano più o meno socchiusi, cambia la natura attorno a noi e cambia il cibo del quale ci nutriamo.
Già .....il cibo.
Delle scorte caricate a dorso del nostro mulo meccanico prima della partenza, ormai rimane ben poco.
Di tanto in tanto acquistiamo qualcosa, ma non potendo caricarci scorte pantagrueliche e non potendo conservare cibi deteriorabili, siamo arrivati a vedere l'ultima scatoletta di simmenthal fare capolino sul fondo della borsa laterale della moto.
Ci piange il cuore aprirla, quasi come fosse una reliquia, quasi come se dovessimo conservarla per momenti di crisi.
Ecco allora che in questi momenti, la dove l'uomo si arrende, il moto viaggiatore si appende alla propria sottile astuzia come un alpinista alla corda per salire ancora di un metro e cercare un appiglio.
Ho portato con me una piccola spoletta di lenza da pescatore ed un paio di ami, ho arrotolato il tutto su un pezzetto di polistirolo non più grande di 10 centimetri.
Nessuna esca, null'altro.
Alla partenza Gisella mi chiese " cosa te ne farai di quella roba se non porti delle esce ?".
Aveva ragione, ma non potevo portare null'altro per il rischio dei controlli al porto di arrivo in Islanda.
Giorni fa quindi, la svolta alla nostra dieta.
Ci troviamo in un paesino minuscolo, posto nella rientranza di un fiordo, il suo nome è Djupivogur.
Vi è un altrettanto piccolo porticciolo, piccole imbarcazioni di pescatori, alcune rosse, altre gialle si riflettono sull'acqua immobile, quasi densa, del mare del Nord.
Noto un pescatore in lontananza sul molo che si lancia verso il centro del fiordo come un braccio proteso a proteggere gli abitanti del piccolo paese.
Lo raggiungo e mi soffermo a guardare.
Lui, un omaccione alto una volta e mezza il sottoscritto, ha i capelli radi ma biondissimi, una barba incolta così come lo era quella di Mangiafuoco e la pelle inaridita dal freddo e dal vento.
Mi guarda e mi saluta, io ricambio.
Mi avvicino ulteriormente per osservare la sua enorme canna da pesca e la sua esca.
Lui riavvolge la lenza con il mulinello per verificare che nulla avesse abboccato ed in quel momento noto che all'amo aveva qualcosa di rossastro, come fosse carne.
Quindi gli chiedo che esca fosse.
"Bacon" mi risponde.
Bacon  ???? Chiedo io strabuzzando gli occhi...
Mi inchino, tiro fuori dal mio zainetto la mia poverissima attrezzatura.
Lui mi guarda e adesso non sono più io a strabuzzare gli occhi.
Si mette a ridere sotto quella barba più possente di lui.
Io piccolo ma incazzoso, gli vado incontro e gli chiedo un pezzo di Bacon.
Lo prendo, ne innesco un pezzo nel mio amo e lancio in mare.
I cinque minuti successivi a quel lancio sono stati quanto di più adrenalinico potesse accadere.
Una sorta di duello d'altri tempi, lui armato di canna da pesca da professionista, io invece con primordiali atrezzature.
Ci guardiamo e ci sorridiamo pure, ma sappiamo bene tutti e due che ormai il mio guanto di sfida è stato lanciato nell'istante in cui gli ho chiesto di darmi un pezzetto di esca.
Nulla si muove per interminabili minuti, poi ad un tratto, il mio dito indice, sul quale poggiava sino a quel momento una inerme lenza, si muove.....
Sento tirare !!!
Oh cazzo.......
Lui si gira di scatto, strabuzza di nuovo gli occhi, non può credere a ciò che sta succedendo.
Io, come un bambino al parco giochi, inizio a tirare su la lenza prestando attenzione a non rompere il filo e non perdere il bottino.
Dall'acqua vedo riemergere qualcosa, si agita, è grande.
Tiro su, arriva sul molo......non posso credere ai miei occhi !!!!
Una sogliola lunga due spanne delle mie mani, si agita e sbatacchiando se stessa sul suolo attira l'attenzione del Mangiafuoco pescatore ed anche quella di Gisella che poco lontano era intenta a scattare foto.
Lui, sconfitto ma onesto, inarca la bocca verso il basso e con gesti del capo ritmati mi trasmette i complimenti.
Gisella, corsa in gran carriera, anch'essa si complimenta con me, poi però........
" Ma guarda che occhietti........ Ma la vuoi uccidere ......? Ma non credi che sarebbe meglio liberarla ...?"
Io, chino sulla mia preda, guardo la sogliola con fierezza, poi alzo lo sguardo verso Gisella e già mi sento in colpa già solo perché le sto facendo respirare aria del molo anziché lanciarla in acqua.
Quindi, le tolgo con delicatezza l'amo e la lancio in acqua seguendola con lo sguardo di chi vede nuotare lontano la propria cena e vedendo invece riaffiorare lo spettro dell'ultima scatoletta di carne in scatola.
Mangiafuoco strabuzza gli occhi per la terza volta......io lo guardo e con fierezza da pescatore provetto quale non sono gli dico " too small".......
Felici per aver salvato un pesce dopo averne quasi decretato la su morte, Gisella ed io ripartiamo con la moto ancor più leggera.
Ci dirigiamo a sud-ovest, in un luogo dal nome impronunciabile, come quasi tutti i nomi di queste parti lo sono, Jokulsarlon.
Un luogo che toglie il fiato tanto la sua bellezza eterna ti colpisce.
Anche la prima volta in Islanda vi andammo, e oggi la mia paura era quella di non arrivare con il giusto approccio. Avevo timore di portarmi dietro l'emozione della prima volta e di conseguenza restarne, non dico deluso, ma forse meno colpito.
Ne parlo con Gisella e chiedo anche a lei di adottare un metodo, forse quello che dovremmo fare nella vita di tutti i giorni, ovvero, non abituarci mai, far sempre in modo che ciò che vediamo, chi amiamo, ciò che abbiamo, siano sempre una sorpresa, un regalo, un qualcosa di magnifico ed imperdibile.
Decidiamo quindi di filtrare le emozioni della prima volta e recarci in quel luogo come se non sapessimo cosa stavamo per andare a vedere.
Ed è così facendo che all'improvviso, in quel piccolo, minuscolo, infinitesimo pezzetto di ghiaccio, luccicante come un cristallo, ho visto una storia, non la mia, neppure una storia da scrivere, bensì la storia che quell'insieme di acqua addensata, prima di sciogliersi nelle mie mani, ha per secoli raccolto, osservato, accettato.
La laguna di Jokulsarlon, dove iceberg enormi staccatisidal ghiacciaio più grande di Europa, gironzolano ancora un po' prima di scivolare, trascinati dalla corrente, nell'oceano.
Da lì, le onde li rispediscono a riva, creando un contrasto di ghiaccio, onde, sabbia nera e luci.
Questo ghiaccio, storia di un mondo conservato per secoli, immobile nel suo comunque vivere e spostarsi, scende inesorabilmente, si stacca con fragore e l'acqua dolce e pura, creatasi quando ancora il mondo era altrettanto puro, ora si insinua nell'acqua di un oceano che la inghiotte e la fa sua.
Sulla spiaggia giacciono, come meduse spiaggiate, disseminati per chilometri iceberg di mille dimensioni differenti.
Il più piccino ci colpisce, è solo un frammento, ma così bello e lucente che fra tutti spicca.
Lo raccogliamo, e lasciando che il suo freddo geli il mio palmo, attendo che la sua storia, gocciolando giù dalla mia mano, si dissolva in mille altri cristalli di luce che a loro volta, null'altro saranno se non la storia di un piccolo ma indimenticabile .......nostro momento.












domenica 16 agosto 2015

Islanda - Ti seguirò sino in capo al mondo

Quest'anno, nel decidere la meta delle nostre vacanze, abbiamo utilizzato lo stesso metodo che da tempo ormai amiamo seguire.
L'ultima notte del vecchio anno, mentre affievolendosi lascia spazio al primo giorno del nuovo anno, Gisella ed io incrociamo i nostri pensieri, i nostri desideri ed i nostri sogni, mettiamo tutto dentro ad un immaginario contenitore ed estraiamo la scelta finale.
Indipendentemente dal fatto che il " sorteggio " abbia poi deciso per l'Islanda, un pensiero comune o forse ancor più una necessità di entrambi era di non definire un vero e proprio progetto di viaggio, bensì lasciare che qualcosa ci guidasse lungo direzioni sconosciute alla ricerca di una sola cosa, solitudine !
Così partiamo alla volta di questo luogo che nel suo essere comunque vicino, geograficamente parlando, alla nostra realtà di tutti i giorni, si presenta agli occhi di chi vi arriva da fuori come un luogo remoto, spesso apparentemente inospitale, desertico, battuto da venti gelidi e costanti, d'estate freddo come l'ultimo ripiano del mio frigorifero di casa con temperature mai al di sopra dei 10 gradi.
Eppure, eppure.....un qualcosa di magico ci attirava di nuovo qui, qualcosa che non è facile da spiegare per chi magari a casa, osservando foto di gente imbacuccata, nebbie basse e cieli argentei si pone e, magari a volte senza ritegno, ci pone la domanda " ma perché ?".
Un perché, descrivibile con una parola, non so se esista.
La meraviglia magnetica di questo luogo non risiede nascosta dietro una parola o una frase.
La trovi invece dietro ogni curva di una strada che sembra appoggiata su un pianeta che non è il tuo, la trovi cercando con lo sguardo di arrivare laggiù dove credi che il mondo finisca ed invece, sgranando gli occhi, ti accorgi che sarà ancora più bello.
Quindi riparti, lotti contro il vento che ormai quasi è divento un tuo amico, appoggi la moto su di lui, lasci che soffi forte così da poterti godere la magia delle onde che sbattendo su di esso si arrendono aprendo i loro lembi come fuochi d'artificio naturali.
Ti fermi quindi, lasci la moto sulla strada tanto sai che non passerà nessuno perché nessuno oltre a te in quel momento è lì, seduto su una panchina di un rifugio arancione come tanti altri in Islanda per fornire due tipi di servizi, essere un monito per i viaggiatori nel ricordare che qui....non si scherza con la natura ed anche, per dare una sosta a chi spostandoti da un luogo all'altro si imbattesse in tormente.
Ti godi la ragione per la quale hai deciso, forse contro natura ma non contro te stesso, di viaggiare per cercare di essere solo, magari anche per capire chi sei davvero, o forse cosa vorresti essere.
Noi viaggiamo, ci spostiamo e spesso fuggiamo.
Siamo partiti da casa senza sapere cosa avremmo seguito, quale magica ispirazione.
Oggi, giorno di ferragosto, anche noi vorremmo festeggiare di fronte al brillare del fuoco d'artificio più grande che esista, quello che ci da la vita, quello che madre natura ha deciso di regalarci non solo un giorno all'anno ma lasciare che esso splenda sempre, magari talvolta nascosto ma sempre presente.
Ecco allora che per fuggire ad una tempesta di pioggia e vento che ci ha messi a dura prova nei giorni scorsi, fuggiamo, corriamo, decidiamo di attraversare tutta l'Islanda da sud a nord mangiandoci il fango della strada sterrata che collega le due estremità passando per un luogo già visto ma sempre, energeticamente mozzafiato, Kjolur !
È una zona geotermica, come tante in Islanda, ma posta nella parte centrale, pizzicata fra due ghiacciai è situata a circa 700 metri di altitudine.
Viaggiamo sotto una pioggia che, cadendo in terra alimenta l'aumentare del fango e fa crescere il livello di acqua.
Dopo circa 440 chilometri, stanchi ed affamati, le luci del giorno si affievoliscono, le temperature si irrigidiscono ulteriormente ed il vento inizia ad essere davvero violento.
Raggiungiamo un paesino, Bakkafjordur, un luogo che se volessi usare un tipico modo di dire sarebbe " dimenticato da Dio", in realtà tolto il fatto che si tratta del paese più piccolo d'Islanda, che l'ufficio postale è una buca delle lettere, che l'unico negozio del paese ( nel raggio di 60 chilometri di strada sterrata ) è aperto solo il martedì ed il giovedì dalle16 alle 18.......tolto questo dicevo, madre natura ha fatto il resto.
Montiamo la tenda in un prato a ridosso del mare.
Il tipico cartello indicante una tenda simboleggia che quel'appezzamento dovrebbe essere un campeggio, ma siamo soli, nessuna traccia di persone in giro per il paese, tutto fermo, tutto silenzioso, tutto immobile.....tranne il vento.
Vi sono delle strane barriere di legno qua e là nel prato.
Le studiamo.....cerchiamo di capirne il significato, poi capiamo.
Il vento è talmente forte e costante che tutto il paese è costruito in modo da avere sempre un qualcosa che funga da barriera anti vento. 
Proviamo a rannicchiarci dietro ad una di queste è la situazione in effetti migliora seppur restando ancora critica per pensare di poter passare la notte.
Ecco allora che scatta la tecnica di chi deve....sopravvivere.
Abbiamo con noi un telo, generalmente lo utilizziamo da mettere sotto la tenda per limitare gli effetti dell'umidità, in realtà si tratta di un foglio rettangolare di stagnola utilizzato dai pronto soccorso stradale ( speriamo mai ) per soccorrere un ferito.
Gisella ed io ne afferriamo i quattro cantoni, lui in un attimo si gonfia come un aquilone e si spiattella contro la barriera di legno.
Il rifugio per la notte è pronto, stanchi ma tecnicamente soddisfatti ceniamo e solo dopo, finalmente, chiudiamo il vento fuori dalla tenda per dormire.
Il mattino, un po' gelati come se avessimo dormito al campo base dell'Everest, ripartiamo verso nord, viaggiamo veloci.....abbiamo un appuntamento !
Vi è punto in Islanda, il più a nord, che per poche centinaia di metri non tocca l'immaginaria linea del circolo polare artico.
In quel luogo, vogliamo arrivare entro sera.
Esattamente su quelle zolle di terra bagnate dagli schizzi delle onde del mare vogliamo montare nuovamente la nostra tenda, entrarvi dentro e silenziosamente lasciare che il frastuono del mare ci accompagni nel sonno affinché al mattino si possa essere riposati e pronti per incontrare lui, il nostro amico......il sole !