martedì 30 giugno 2015

Occhi chiusi per vedere

Non sarebbe possibile vivere senza sogni. 
Eppure vi sono luoghi, cose o persone che paiono sogni solo quando, lontani da loro, chiudiamo gli occhi e viaggiamo con l’anima, spaziando sul cielo tormentato della nostra mente. 
Il mese di Giugno, anche per quest’anno, sta volgendo al termine allungando le sue spighe agitate dal vento come mani che ci salutano tutte insieme. 
Il mese di Luglio, con il suo sole accecante, si sta aprendo davanti a noi. 
Questo insieme di giorni, che vorrei durassero anni, scivolano via troppo velocemente. 
Apro gli occhi al nuovo giorno e in lampo di luce, questo sta già per chiudersi lasciando scivolare l’ombra della notte che maledetta sia sempre, muove gli animi, smuove i pensieri, soffoca i sorrisi e genera tiepide e salate gocce d’acqua chiamate lacrime. 
Ho un solo modo per soffocare la notte………sognare il giorno. 
Ed è qui che si aprono di fronte a me i mille scenari di un mondo che non smette mai di stupirmi. 
Ed è in questa notte calda, fatta di sigari fumati in sala, di penombre, di silenzi interrotti da suoni di un altro mondo che dorme, è in questa notte che chiudendo gli occhi vedo tutto ciò che ad occhi aperti forse, non sono mai riuscito a vedere. 
In quel punto la strada fa una curva, sembra affacciarsi sul nulla, io rallento, attacco la freccia di destra, lascio l’asfalto e lentamente rallento sino a fermarmi sul bordo della strada. 
Scendo dalla moto, mi tolgo il casco, lasciando che il vento caldo asciughi il sudore della mia fronte e di quella parte di me ormai priva di “lana”, la nuca. 
Lancio gli occhi giù verso la valle e pare che un pittore abbia disegnato una tela meravigliosa utilizzando solo due colori, il giallo ed il viola. 
Rettangoli infiniti si intersecano fra loro, come un tessuto di Missoni. 
Un rumore di fondo, continuo, devastante nel suo essere quasi impercettibile, entra nel mio orecchio, si insinua all’interno di esso e mi regala il senso di una vita, di un piccolo mondo alato, che vive e aiutano noi a vivere senza mai chiederci nulla in cambio. 
Migliaia di Api, senza fretta ma senza mai fermarsi, lavorano su quella tela profumata. 
Ne prelevano il nettare, ne trasportano il polline e così, senza saperlo, spostano il mondo, trasportano la vita da un luogo ad un altro. 
Loro, così minuscole, a volte quasi invisibili, fanno per noi ed il nostro mondo molto di più di quanto noi, così grandi e grandiosi, mai sapremmo fare. 
Respiro quell’aria tersa, ruoto il capo verso destra, cercando, quasi per interrompere il sogno un punto che al pittore sia venuto male. 
Non trovo nulla di fuori posto, tolto me stesso, che su quella tela non mi ci trovo…. 
Vorrei farne parte, vorrei essere minuscolo ed invisibile come una di quelle Api, vorrei essere quel Geco abbarbicato sulla parete all’ombra della grondaia, vorrei essere quella volpe che ci venne a trovare l’anno passato e quasi si faceva accarezzare, vorrei essere un po’ di quel colore che rende il mondo così bello, vorrei essere una ventata di quel profumo inebriante, vorrei essere ciò che non sono, ma sono ciò che sono, e null’altro posso fare se non cercare di essere di tanto in tanto un po’ migliore. 
Magari ci riuscissi……….. 
Mi siedo in terra, su un terreno che pare arido tante sono le rocce che dormono da secoli in esso. 
Guardo lontano e penso a quanto ogni punto, ogni fotogramma penetrato nei miei occhi sia unico. 
Unico come forse ognuno di noi. 
Unico e raro come ogni pensiero immaginato, ogni parola sentita, ogni volto incontrato. 
Unico e raro come ciò che abbiamo nel cuore. 
Unico e raro come chi si sa accettare, sa lottare, sa guardare avanti lanciando se stesso e tutta la forza che c’è in noi, oltre. 
Ci sono occasioni in cui vorrei poter dimenticare. Ma nel farlo potrebbe succedere di dimenticare qualcosa di bello, di unico, di raro. 
Ecco allora che forse è bene non farlo, mai dimenticare, meglio filtrare ! 
Lasciare che solo le cose più uniche riaffiorino in questa lunga notte di sigari e penombre, lasciare che quei profumi, quel sole, quel vento, quel dipinto siano le immagini che proiettate all’interno delle palpebre, realizzino un nuovo, unico e raro film. 
"Non dormivi stanotte” mi sussurra Gisella stamane. 
 Ho visto un film, rispondo io. Era girato in Provenza, su una valle completamente ricoperta di campi di grano e lavanda. Le Api lavoravano come forsennate, ed il vento portava il suono dello sbattere delle ali sino a me.
 “Ma non ho sentito accendere la televisione…..” stupita mi controbatte Gisella.
Io sorrido………chiudo gli occhi e sorrido. 
Mai mollare, mai dimenticare e forse neppure mai dormire…….solo sognare.

lunedì 22 giugno 2015

Chi si accontenta .........

Ognuno di noi ha un suo personalissimo modo di vedere le cose. 
Il primo giorno d’estate scatena in tutti noi il frenetico pensiero delle vacanze. 
 Inizia il tormentone d’ufficio, dove a rotazione scorre sulle bocche di tutti la fatidica domanda “già pensato cosa farai quest’anno ?” 
Le risposte sono, generalmente, divise in due parti. 
Si inizia nel dire ciò che si vorrebbe fare. 
Vorrei vedere le stelle della notte, senza l’inquinamento luminoso della città. 
Vorrei sentire i rumori della natura, il fresco della brezza notturna, svegliarmi con il sole e vivere il giorno senza che questo sia scandito da orari. 
Vorrei partire, andare lontano, portando con me solo lo stretto necessario ed affrontare ogni giorno come fosse una nuova avventura. 
Vorrei conoscere nuovi luoghi, nuova gente, capire come il mondo vive. 
A questo punto, arriva la seconda parte della risposta………. …………
E quindi ho prenotato due settimane in un villaggio…… 
Stanza con vista sulla piscina, la sera animazione e musica con luci coloratissime. 
Grazie al pacchetto all inclusive, posso mangiare tutto ciò che voglio, dissetarmi con cocktail di ogni tipo ad ogni ora del giorno e della notte. 
In più, come se non bastasse, durante il giorno puoi scegliere fra diverse iniziative: 
Al mattino alle 8.00 si inizia con il risveglio in musica. Alle 10.00 abbiamo la lezione di acquaGym. Alle 12.30 ci troviamo tutti insieme per l’aperitivo a bordo piscina. Al pomeriggio c’è il torneo di calcetto. Prima di sera seconda lezione di acquaGym, dopodichè la cena al ristorante con abbigliamento a tema, e poi serata disco nell’area comune del villaggio. 
Non parliamo poi del ferragosto…………quella è la giornata clou !! 
Un no stop di musica, divertimenti e gavettoni dalla mattina sino a notte inoltrata. ……..Fantastico !
Wow………….penso io senza fiatare, ma nel contempo penso: E le stelle ? il rumore della natura ? lo stretto necessario ? 
Dopodiché la stessa domanda viene posta a me, ed io rispondo: 
Vorrei vedere le stelle della notte, senza l’inquinamento luminoso della città. 
Vorrei sentire i rumori della natura, il fresco della brezza notturna, svegliarmi con il sole e vivere il giorno senza che questo sia scandito da orari. 
Vorrei partire, andare lontano, portando con me solo lo stretto necessario ed affrontare ogni giorno come fosse una nuova avventura. 
Vorrei conoscere nuovi luoghi, nuova gente, capire come il mondo vive. ………….per questo, andrò in Islanda ! 
Dormirò in tenda sotto le stelle, cenerò cucinando sul fornelletto a gas una busta di pollo al curry ( tutto rigorosamente liofilizzato ), mi laverò nel torrente e se avrò fortuna potrò farlo in acqua calda grazie alle numerosi sorgenti geotermiche. 
Viaggerò su piste sterrate nell’interno della regione meno densamente abitata d’Europa. 
Vedrò le aquile in volo, le balene al largo, le pulcinelle di mare che nidificano sulle scogliere che si affacciano a Nord verso la Groenlandia. 
Monterò la tenda nel deserto lavico, mi coricherò lì vicino con gli occhi puntati al cielo per cercare di contare le stelle e, come sempre, scegliere la mia. 
Ed infine…..per festeggiare il ferragosto, mangerò il pane Islandese cotto sotto terra, e sarà festa ! 
Solo a quel punto, alzando lo sguardo verso il mio interlocutore, noto come i suoi occhi siano spalancati in senso di stupore, mentre le labbra socchiuse ed inclinate da un lato come segno di disgusto. 
Che c’è ? chiedo io……. 
Con un minimo di imbarazzo, generalmente mi viene risposto “ no …..ehm……..bello daiiii. Ma detto così pare non vi sia molto di allettante da fare…….. Detto ciò, sai come la penso io, chi si accontenta gode…..” 
Io sorrido, e lasciando l’interlocutore ai suoi cocktail e alla sua animazione, mi allontano con un gran senso di gioia ripensando ad una frase letta a suo tempo: “ Chi si accontenta gode “ l’ha detto uno che nella vita ha saputo raccogliere ciò che gli è caduto dal cielo, che non si è mai spinto oltre il sentiero, che non ha realizzato il suo sogno e nemmeno ci ha provato. 
E’ più facile accontentarsi che vivere per realizzarsi. 
"Chi si accontenta gode” è la filosofia dei finti soddisfatti, degli infelici camuffati e dei depressi sorridenti. 
Di notte si sogna e di giorno si combatte. 
Non c’è altro da fare. 
“ CHI SI ACCONTENTA MUORE “ !!

domenica 24 maggio 2015

Addio Zenobia, Regina Guerriera

È soltanto la metà di Maggio di un, ormai lontano ,2009 ma il sole di quel luogo batte forte sui nostri caschi rendendo l’aria al loro interno tanto cocente quanto irrespirabile.
Dopo essere partiti dall’Italia ed esserci diretti verso Est, abbiamo attraversato per la prima volta la tanto amata Turchia, e poi giù, verso Sud puntando alla Giordania ma ben sapendo che per noi, il vero respiro del viaggio, lo avremmo trovato solo una volta diretti nuovamente a Nord, in Siria, viaggiando sul confine Iracheno, sino a giungere a casa della regina Guerriera. 
Una donna, coraggiosa e forte, tanto astuta da essere in grado di respingere gli attacchi dell’allora potentissimo impero Romano. 
Arrivammo verso le sei di sera a casa sua Gisella ed io. La moto stanca quasi quanto noi, aveva viaggiato tutto il giorno scavando gallerie in una tempesta di sabbia che impediva sia la vista che il respiro. Avevamo gli occhi rossi a causa della sabbia penetrata nel frattempo ovunque. 
Ma superata quell’ultima piccola duna sulla quale la strada si inerpicava, ecco laggiù in cima ad una montagna di roccia, la sua casa anzi, il suo castello. 
Un colore rosso fuoco, reso ancor più acceso dal sole della sera faceva splendere i bastioni del castello come le luci di un candelabro orientale posto al centro di una tavola imbandita. 
Arresto la moto, sollevo la visiera graffiata dalla tempesta di sabbia e, seguendo il profilo della montagna scendo con lo sguardo sino alla valle sovrastata da essa. 
I resti della città vecchia si ergono verso il cielo come braccia che salutano il sole, che abbracciano l’universo ringraziando la luna che nel frattempo si impadronisce degli spazi celesti. 
Dovremmo cercare un luogo dove dormire Gisella ed io in quel luogo così tanto lontano e così tanto ostile ai viaggiatori. Si forse dovremmo farlo, ma quella sera di Maggio, quasi come se un pensiero premonitore ci avesse avvisato, decidemmo che quella non doveva essere la cosa prioritaria. 
Ingranai la prima marcia e, cercando di diffondere il minor rumore possibile, mi avvicinai a quelle rovine rimaste intatte per secoli, facendosi forza sulle loro stesse pietre, quelle pietre che uomini come me, cotti dal sole, sferzati dal vento, per amore della loro regina guerriera, secoli or sono deposero creando una citta immortale e, con maestria divina, resero forti come la regina stessa. 
Il sole scendeva lentamente dietro al castello di Zenobia, o forse era proprio il castello ad impadronirsi della scena, mentre Gisella ed io, a bordo del nostro cammello motorizzato, entravamo sulle stradine di sabbia della città vecchia. 
Eravamo soli, ma senza paura, senza quel timore che soltanto qualche giorno fa abbiamo avvertito addosso viaggiando sulle rive del fiume Po a pochi passi da casa nostra. 
Ci sentivamo parte di un mondo immortale, di una storia fatta di donne e uomini forti, coraggiosi, in grado trasformare il nulla in sogno, la sabbia in arte, la sete in desiderio ed il viso in un sorriso. 
Ci recammo lassù, sino in cima al castello di Zenobia, dove per la prima volta dopo migliaia di chilometri lasciammo la moto da sola per arrampicarci sul punto più alto, quel punto da dove tutto il mondo pare visibile, quel punto da dove ti pare di poter toccare con le dita anche la duna più lontana, un punto talmente alto che anche da dietro l’orizzonte si è visibili. 

Quel preciso punto, a casa di Zenobia, non più tardi di un Maggio 2015, senza che il mio casco fosse più graffiato dalla sabbia, senza che le mie labbra fossero più tagliate dal sole e sanguinolenti a causa del vento, bensì mentre con il dito pollice accendo la televisione da casa mia, lo rivedo. 
Una lunga ombra nera si staglia su di esso, il vento amico che sollevava la sabbia accecandoci mentre noi cercavamo di lasciare gli occhi aperti il più lungo possibile, ora muove e sventola una bandiera. 
È nera, come nera è la luce attorno ad essa. 
Resa ancor più nera dai fumi delle armi, dei colpi di fucile e dall’odore acre dei corpi mutilati lasciati marcire sulle strade della città vecchia percorse da Gisella ed io. 
Donne, bambini, uomini, un mondo, una citta immortale, in grado di resistere all’impero romano d’occidente. 
Ora tutto questo non esiste più. 
Quei visi,quelle donne, quei bambini che vedendoci arrivare in moto ci corsero incontro ora, probabilmente non sono null’altro che cibo per avvoltoi,erano nostri amici ! 
Erano parte della nostra storia, erano la forza che ci spinge ogni giorno nella ricerca di un nuovo incontro e di un nuovo sconosciuto ma interminabile abbraccio. 
Ora siete un ricordo, un qualcosa che ho in me, un momento di vita che conserverò come fra i più preziosi. 
In quelle strade che la sabbia ha cercato per secoli di inghiottire, su quelle colonne che né il vento, né le lontane battaglie sono riuscite ad abbattere, ci siete voi, con tutto il vostro essere, con tutta la vostra grandezza e con quei sorrisi che oggi, una bandiera nera, ha annientato. 
Addio amici, non passerà giorno che un mio pensiero non venga al vento regalato, affinché con il suo soffiare, vi cerchi, ovunque voi siate ……. 
Addio Zenobia, nella tua casa ci hai accolto come principi di un deserto lontano. 
Addio Palmira !









martedì 19 maggio 2015

La tua curva infinita

Faticavo a prendere sonno ieri sera. 
Avevo un solo pensiero e quasi ti parlavo. Avrei voluto ancora sorridere una volta con te, magari come quel giorno d’estate, insieme sui colli alpini, orgogliosi delle nostre moto, con l’aria fresca che entrava da sotto la visiera e gelava i denti. Avrei voluto ancora fermarmi una volta, lassù su quel colle, seduti al sole a prenderci un caffè insieme. Avrei voluto fare ancore mille cose con te, ma il destino ha scelto per noi strade differenti. 
Questo destino che a volte maledico. Mi procura un dolore come un pugno alla bocca dello stomaco, mi apre il torace strappandomi il cuore, mi frusta le ginocchia lasciandomi incapace di reggere il mio peso, mi accascio e piango su me stesso. 
Poi però spunti tu, il tuo sorriso, la tua forza, il tuo naturale modo di essere. Sollevo il capo, spingo sulle ginocchia e a fatica mi rialzo. Tu quasi mi sorreggi e con il coraggio che ti contraddistingue mi inciti a procedere, un metro ancora, un secondo ancora. Quasi mi sgridi vedendo che tentenno e accenno a fermarmi, mi spingi forte e urli “ vai cazzo, non fermarti, non mollare mai “ Mi volto ancora un volta mentre una lacrima scende su quella smorfia di dolore ancora vivo. Ma le stessa lacrima si infrange su quel sorriso che sai trasmettere tanto è violento il tuo essere contagioso. 
Risalgo sulla mia moto, ingrano la prima e riparto. 
Non ti vedrò più nello specchietto retrovisore, non ci sarai più per condividere un caffè in cima al colle, la tua moto non si piegherà più sui tornanti alpini e a molti di noi sembrerà di aver perso un amico allor ‘quando, vedendo una sedia vuota avvertiremo lo stessa, identica, lancinante nausea provocata dal pugno allo stomaco che il destino ha sferrato domenica. 
Basterà guardare in alto, sopra quel colle, al di là di quella nuvola che scivolando sul cielo, accarezza la cima della montagna. Basterà chiudere gli occhi per un istante, cercarti e sono certo che tu sarai là. 
Sarà bello immaginarti sulla tua moto su strade che nessuno ha mai raccontato, in un mondo senza confini, dove non piove mai, dove non importa chi sei perché tutti sono importanti nella stessa misura. Sarà bello immaginarti impegnato a percorrere quella curva infinita, piegato su te stesso come sempre, guardando avanti senza mai mollare. Come sempre, ad ogni respiro, ogni momento che vivo…… 
E quando questo non sarà più vero, ti chiederò di offrirmi un caffè su quella nuvola ! 
Arrivederci amico mio. Dedicato a Pitta

lunedì 11 maggio 2015

Noi, parte dell'universo

Una leggera brezza primaverile, insinuandosi attraverso la porta aperta della mia camera da letto, scivola sul cuscino, mi sfiora il viso e mi aiuta a pensare che è sabato mattina, un sabato di Maggio, un sabato di moto ! 
Apro gli occhi, ma ancora prima di farlo sento quella splendida sensazione di libertà che, partendo dallo stomaco mi arriva sino sulla faccia liberando un interminabile sorriso. 
Non è un sabato qualunque quello che stiamo per vivere Gisella ed io. 
Oggi infatti è il suo compleanno. 
Sono tre i periodi della vita di una donna che contraddistinguono il loro trascorrere. 
Esiste un periodo dove il tempo si calcola per eccesso. Ovvero quel periodo dove donna non si è ancora ma lo si vorrebbe tanto essere. 
Per questo, a volte mentono dicendo di avere diciotto anni anche se poi in realtà, questo non è vero. 
Ne esiste un secondo, dove i diciotto anni sono finalmente raggiunti, e lo si vuole dire a tutto il mondo. 
Questo periodo dura solo un anno ma è il più intenso, dove finalmente donna si è anche rispetto ad una legge, dove si prende la patente, dove puoi firmarti le giustificazioni a scuola senza chiedere ai genitori e dove soprattutto ti senti grande. 
Poi arriva il terzo, il più lungo….. ovvero quello che appare in tutta la sua tragicità alla fine dell’unico anno passato a sventolare in giro la carta d’identità riportante il raggiungimento del traguardo della maggiore età. 
Da questo momento in poi, per noi maschietti si fa tutto più difficile. 
Non possiamo più permetterci di chiedere la loro età. 
Perdiamo i riferimenti del tempo in quanto, pur vedendo quest’ultimo trascorrere, pare che avvenga solo per noi e non per loro. 
Viene posto il veto all’ascolto di musica degli anni passati in quanto, questo, rimarca il passare del tempo e fa sorgere malinconia. Insomma, l’unica cosa che devi ricordare è la data del compleanno, anche l’ora esatta sarebbe gradita. 
Per il resto, devi far finta di nulla, devi pensare di aver conosciuto da poco tempo la persona con la quale magari vivi da decenni. 
Per questa ragione, anche se la curiosità vi pervade, anche se mi torturaste per saperlo, non so bene che età abbia Gisella, di certo più di diciotto in quanto ha la patente ! 
E’ sabato mattina di Maggio dicevamo, quando finalmente partiamo e ci lasciamo alle spalle l’Italia diretti in una località in Francia posta alle pendici di Mont Ventoux, un luogo speciale, un monte speciale. 
Si tratta di una montagna posta in Provenza, arsa dal sole e battuta dal vento proveniente dal mare. 
La caratteristica principale risiede nel fatto di avere la sommità completamente arida, rendendola visibile da lontanissimo in quanto bianca e lucente come fosse ricoperta di neve mentre in realtà è pietra. 
Come sempre scegliamo la strada più lunga, tortuosa e difficile per arrivare sino là. 
Percorriamo 440 km, superando diversi colli alpini e percorrendo migliaia di curve. 
 Per noi, come sempre, non è l’arrivare l’obiettivo. Bensì il modo con cui ci arriveremo. 
Ma oggi, per questo giorno di Maggio, anniversario della nascita di un anno non ben definito di Gisella, un po’ di fretta d’arrivare in effetti c’è. 
Ci sono emozioni che non sono facilmente trascrivibile e descrivibili, alcune le puoi solo vivere. 
Noi siamo diretta la, un luogo talmente lontano che puoi solo raggiungere se credi ai sogni, se sei disposto a tenere gli occhi aperti tutta la notte, se non ti importa di sapere che altri potrebbero vederti. 
Per assaporare in tutta la sua bellezza quel luogo, devi essere consapevole di essere solo una piccola, infinitesima parte di un universo che attorno a te si muove. 
Devi avere la modestia di sapere che non sei tu il centro del mondo, non sei tu la cosa più forte in natura. 
Devi riuscire a domare la tua onnipotenza, lasciare da parte tutto il turbinio di idee e problemi che non lasciano mai spazio a nessun pensiero. 
A questo punto, quando il tuo respiro sarà lieve, quando sentirai il tuo battito rilassarsi, quando non ti spaventerà più il pensiero di essere solo come un meteora, una stella cadente, quando avrai la consapevolezza di essere come una bolla, meravigliosamente fluttuante ma incredibilmente debole……..ecco solo allora……..spegni la luce e vivi !





mercoledì 15 aprile 2015

Perchè poi alla fine, siamo ciò che abbiamo il coraggio di ammettere

Seduto al tavolo numero 11 di un ristorante di Bologna, prendo in mano il menù, più per un gesto automatico ormai che per il vero desiderio di leggere e scegliere. 
Inforco gli occhiali, senza i quali quelle parole null'altro sarebbero che ombre grigie, e scorro velocemente le singole pagine alla ricerca di un qualcosa di nuovo, di quel qualcosa che mi stuzzichi l'appetito in quest'ennesima serata lavorativa passata da solo. 
Come me siamo in molti, tanti, troppi. 
Chiudo il menù e lo ripongo sul tavolo alla mia sinistra. 
 Abbasso leggermente gli occhiali sino a portarli sulla punta del naso, ed inizio a fissare il piccolo mondo affamato che ho intorno. Definiamolo pure farsi gli affari altrui, ma cos'altro posso fare se non guardare, ascoltare ed a volte sorridere ? 
I commensali si dividono in due distinte categorie. 
I trasfertisti, come il sottoscritto che sono lì unicamente per nutrirsi, e chi invece passrà una serata in compagnia, mangiando, chiacchierando, divertendosi con amici.
I trasfertisti sono facili da riconoscere. 
Se nel locale vi è un televisore, li troverete tutti rivolti verso esso, come un enorme pullman, testa china sul piatto ma rivolto in alto e sopraciglia inarcate al fine di puntare lo schermo posto generalmente sulla parete. La forchetta nella mano sinistra, il cellulare sulla mano destra, le dita che scorrono sul monitor alla velocità della luce in un continuo invia e ricevi e-mail, watsapp, sms e come se non fosse abbastanza, quando stai per portare la forchetta alla bocca per placare l'unico senso che potrai soddisfare, squilla il telefono e, generalmente il tuo capo esordisce dicendoti " dai, raccontami come è andata la tua giornata ". 
Sarebbe facile, breve, intenso ed esaustivo rispondere semplicemente ..... " una merda" ! 
Ma la professionalità ci chiede invece di sviluppare uno sproloquio di parole d'effetto, prestando bene attenzione ad inserire quà e là qualcosa come "business, meeting, direttore, budget, ecc". 
Sembriamo tutti dei piccoli managers, il problema è che molti pensano davvero di esserlo, e su questo simbolico suffisso costruiscono la propria vita. 
Poi, terminata la telefonata, inviato tutte le e-mails, ricevuti tutti i watsapp, aggiornato i propri calendari, tutti ci alziamo, ci squotiamo le briciole dai pantaloni, controlliamo quante macchie di sugo abbiamo disseminato sulla camicia amorevolmente stirata da chi magari è a casa che aspetta, e ci avviamo verso le rispettive camere. 
Una volta entrati, svuotiamo le tasche lasciando disordinatamente sul tavolo in camera tutto ciò che è un pò la nostra compagnia quotidiana, il portafoglio ed il cellulare. 
Togliamo le scarpe lasciando la sinistra in un punto e la destra dove capita, tanto nessuno potrà riprenderci. 
Ci spogliamo, mestamente andiamo in bagno, apriamo l'acqua della doccia ed in attesa che si scaldi, facciamo pipì. 
L'attenzione spasmodica che generalmente ci impegnamo di avere a casa nell'evitare di fare pipì sull'asse della tazza, quì da soli, senza il rischio di sentire urlare il nostro nome da un punto all'altro della casa, non esiste. 
Ci laviamo, lasciamo gli asciugamani sparsi in terra, gli astucci del bagno schiuma aperti, le orme umide dei nostri piedi ovunque e, ancora mezzi bagnati, ci spiaggiamo sul letto ed apriamo il computer.
L'avvento di skype e dei tablet, ha fatto si che in qualche misura si sia stati costretti a diventare un pò meno discoli. 
Ad una certa ora, dalle varie camere divise fra loro da muri sottilissimi, arrivano le voci della chiacchiera serale con le varie mogli, compagne o fidanzate. 
E quando alle nostre mogli, interessate e curiose, salta addosso il desiderio di vivere un pò il nostro mondo da nomadi, ci chiedono " dai, fammi vedere la stanza" .....ecco in quel preciso momento siamo nei pasticci ! " ma hai i calzini appoggiati al televisore ? vedo la scarpa destra ma quella sinistra dov'è ? ma stai fumando in camera ? ecc" 
Poi ad un tratto, per un attimo cala il silenzio. 
I tablet vengono spenti, i computer tornano nelle rispettive borse, ed i televisori iniziano a compiere il loro dovere accompagnando verso il sonno i piccoli e solitari managers. 
Se si è fortunati, quella sera vi è la partita. 
La fortuna risiede nel fatto che tutti, ma proprio tutti, guarderanno lo stesso programma ed ascolteranno le stesse voci, gli stessi suoni .
Se si è sfortunati invece, qualsiasi cosa tu voglia guardare, sappi che ascolterai ciò che il televisore appoggiato alle tue spalle urlerà ! 
Non resta quindi che iniziare a fare zapping sino a quando non troverai lo stesso programma del tuo vicino di stanza. 
Se invece, come successo qualche settimana fà, il tuo vicino dovesse decidere di ritirarsi in camera con una donna, e rinunciare alla partita preferendo ad essa una serata di "fuoco" ecco...... sei nella merda ! 
Non vuoi ascoltare, ma devi ascoltare perchè è come se l'amplesso stia avvenendo sul tuo stesso letto. L'ansimare di lei si mischia ai ruggiti di lui. 
Vorresti alzarti ma non vuoi fare rumore, quasi avessi paura di interrompere o disturbare qualcosa. 
In quei momenti ti viene da tossire ma non puoi. 
Ti scappa la pipì ma non vuoi che i "piccioncini" vengano distratti dal tipico rumore della piccola cascata dorata che cade nell'acqua del bagno. 
Quindi ti alzi con movimenti lenti e silenziosi, neppure come un bradipo è in grado di fare, ti rechi scalzo in bagno senza accendere le luci. 
Ti chiedi come fare per non far rumore e decidi di fare pipì da seduto. 
Ti asciughi con un pezzo di carta igienica, ti rialzi prestando attenzione che le chiappe non si siano nel frattempo attaccate all'asse e quest'ultimo, staccandosi non sbatta sul bordo della tazza. 
Ovviamente non tiri l'acqua, torni in camera, strisci sul letto come un cobra nero e trattieni il fiato. 
Al di là di quel centimetro di muro intanto, tutto procede secondo copione. 
Le posizioni si alternano, gli spasmi aumentano. 
Ti trovi quasi a fare il tifo, quasi vorresti incitare il torello. 
Ad un tratto, un grugnito intenso preannuncia le fasi finali del duello. 
Lei cerca di trattenere l'impeto dell'uomo ma, in quell'istante tutti sappiamo bene che il cervello del "maschio" abbandona la scatola cranica per scendere ben più in basso. 
Un breve ed incomprensibile suono emesso dall'uomo da l'annuncio dell'imminente finale con "fuochi d'artificio". 
Cala il silenzio, senti i passi di lei verso il bagno, senti l'accendino di lui che regala un pò di fiamma alla sigaretta. 
L'acqua del bagno, la doccia, e poi.......lei che vorrebbe parlare e lui che, esausto, vorrebbe dormire. 
Come in una favola a lieto fine, tutti ad un tratto si addormentarono felici e contenti. 
Sino al mattino successivo quando, ritrovandosi a far colazione al bar dell'hotel, tutti uomini da soli tranne una coppia, la vendetta prende forma. 
La coppia arriva mestamente, lei con i capelli ancora reduci dalle follie notturne. In evidente imabarzzo, si siedono al tavolo più lontano, e noi.....trasfertisti, managers, quelli delle briciole sui pantaloni, del sugo sulla camicia e della notte insonne a causa di un amplesso.......li fissiamo !! 
Con odio, torcendo la bocca come ad indicare ribrezzo e squotendo leggermente la testa come a rimproverare i due piccioncini. 
Poi, come era iniziata, la settimana termina. 
Voli a casa, dove dovrai ricordarti di non lasciare le scarpe in giro, non dovrai buttare in terra gli asciugamani, dovrai chiudere bene il bagno schiuma dopo averlo usato e sopratutto non dovrai far pipì sull'asse. 
A casa trovi lei, la tua compagna, che dopo una settimana passata a casa da sola, ti stringe forte, ti coccola un pò, e prendendoti la mano, non trattendo l'euforia esclama: 
Ho due cose da dirti, per il weekend ho prenotato un hotel al mare ed un ristorante per cenare fuori e poi volevo chiederti, com'è andata questa settimana ?" 
...........Una merda !
 

martedì 7 aprile 2015

Se solo sapessi anche io volare....

…….la libertà di andare, fermarsi e ripartire nell’esatto istante in cui il pensiero di farlo ti sfiora. 
La mia casa oggi è questo lago, quest’acqua ferma e all’apparenza senza vita, questo isolato lembo di terra affacciata sul mare. Domani non lo so, devo ancora decidere. 
E’ questo, che forse voleva dirmi il fenicottero rosa, appollaiato sull’esile zampa, con lo sguardo attonito di chi non ha mai visto una moto. 
Lui, o forse lei in quanto rosa, arrivata chissà da dove, attraversando mari e terre lontane, senza che vi fosse la necessità di un visto, di un documento o di una qualsivoglia regola nascosta preparata ad hoc da un legislatore, si gode la pace e la quiete delle paludi della Camargue. 
Anche noi, come il fenicottero, ci facciamo coccolare dal silenzio e dai raggi del sole che, come da mille anni, scalda queste terre. 
Ci siamo lasciati l’inverno alle spalle e la voglia di migrare, tipica di noi mototuristi, ci invade e come un magnete ci porta a scendere in garage, caricare la nostra amata motocicletta e ……partire. 
Come sempre, la scelta del luogo per trascorrere tre giorni di vacanza, richiede attenzione. 
Occorrerebbe accertarsi del meteo, verificare la disponibilità di campeggi, definire dettagliatamente le tappe. 
Non per noi, non per Gisella ed il sottoscritto, non questa volta almeno. Desideriamo solo partire ! 
Scaricare la mente dai mille pensieri del quotidiano, chiudere la visiera e volare, laggiù dove solo chi sa volare ci può raggiungere. 
E’ sabato mattina e, soltanto uscendo dal garage, centro nevralgico di mille pensieri e di mille sogni invernali, avverto l’umido ticchettio della pioggia sul casco. 
Nessuno dei due si era posto il problema di accertarsi quale fossero le previsioni per i tre giorni di Pasqua, e dire che oggi come oggi, non sarebbe un problema farlo. 
Gisella alza lo sguardo verso l’alto, il cielo è coperto, non vi è traccia di azzurro e con la tipica voce di chi proprio non desidera fare ciò che sta per proporre, mi dice “ magari metto la tuta da pioggia “. 
Non farlo, rispondo io modo energico. Non dare questa soddisfazione alla pioggia, si stuferà prima di noi. 
E’ così che è iniziato il viaggio verso la costa sud ovest della Francia, con una dichiarazione di forza e di sfida contro quella natura che non bisognerebbe mai sfidare. 
Ed è così che dopo circa un centinaio di chilometri, a circa 2000 metri sul livello del mare, Gisella, con modalità tipiche di chi decide che delle dichiarazioni di forza non se ne fa nulla, mi impone la sosta “ Ora mi metto la tuta da pioggia ! “. 
 Il trasferimento è veloce, la discesa verso valle ci porta a respirare temperature più miti e finalmente la pioggia cessa. 
A quel punto, inorgoglito ed inzuppato come solo un uomo testardo può essere, cito la frase più inutile di questo mondo: “ hai visto………………avevo ragione, ha smesso….” 
Rido da solo da dentro il mio casco che nel frattempo inizia ad assumere il maleodorante aroma di un cane dopo la pioggia. Muovo le dita dei piedi e avverto la stessa sensazione avvertita già mille volte……….sono a mollo ! 
Raggiungiamo la costa della Camargue e, iniziamo il tour lungo le mille strade che solcano questa terra paludosa. 
 Ci torniamo spesso da queste parti, in particolare quando abbiamo necessità di scaricare le tensioni accumulate durante il normale trascorrere dei giorni di lavoro. 
Troviamo un campeggio e, finalmente si realizza il mio sogno quotidiano. 
Noi e la moto, tutto intorno a noi è natura. 
Una colonna sonora di rane gracchianti ci accompagna sino a notte fonda quando ad un tratto, istantaneamente, cessa ! 
Il sonno ci avvolge e mentre chiudo gli occhi, mi addormento sorridendo al giorno che verrà. 
Non so chi sia stato a dare il via, se forse un usignolo o la rana più anziana, sta di fatto che al mattino, la colonna sonora, istantaneamente, riprende ! 
Per noi è l’alba, ma è talmente tanta la voglia di andare in moto che in un attimo siamo fuori. 
Usciamo dal campeggio e ci dirigiamo verso ……….verso……………..non ha importanza oggi, voglio vivere la Camargue, così come la vivono i loro abituali abitanti. 
Mille strade si intersecano dando sbocchi fantastici verso luoghi all’apparenza inospitali. 
Sono terre queste che in passato hanno visto un alternarsi di popoli. 
L’accesso al mare unitamente alla protezione offerta dalle mille insenature, ne ha fatto una zona portuale importante. 
Le città di Saintes Maries de la Mer e di Aigues Mortes ne sono un esempio tangibile. In particolare Aigues Mortes ( Acque Morte ), richiede una visita particolare. Non tanto per i mille negozietti di cianfrusaglie, bensì per la sua posizione e per le particolari mura di cinta che un tempo fornivano protezione dagli attacchi dei pirati. 
Vorrei tanto essere solo, come forse lo desidererebbero le migliaia di persone che strette come sardine nei budelli e nei vicoli della cittadina, spingendo, cercano di farsi largo. 
Riprendiamo la strada e ci dirigiamo verso aree meno affollate. 
Finalmente si viaggia e siamo soli. Raggiungiamo la zona delle saline, dove ancora oggi il mare ed il sole regalano vita e lavoro a molte persone. E’ una zona meno turistica di altre, nel contempo però estremamente interessante e formativa. 
Il museo del sale descrive in modo chiaro le varie fasi dell’estrazione e della lavorazione di quest’ultimo.
I mille laghetti, con acqua perlopiù stagnante, sono un vero e proprio microcosmo dove trovano rifugio chissà quante specie animali. 
Fra queste, inevitabilmente il fenicottero rosa. 
Siamo fermi seduti sulla riva di un canneto affacciato su un laghetto. 
La moto, la nostra inseparabile e fedele moto, riposa alle nostre spalle. 
Il silenzio è d’oro, cita un proverbio, e credo che tutti, sulla riva di quel laghetto, fossimo d’accordo. 
Un ombra passa sulla nostre teste, due ali rosa con l’estremità delle piume di color nero planano sull’acqua. 
Il fenicottero atterra con maestria e, utilizzando le lunghe articolazioni inizia a pascolare. 
Passiamo del tempo ad osservarci a vicenda. 
Lui, o forse lei, incuriosita da questi strani esseri vestiti di nero, con stivali, e senza ali. 
Noi, incuriositi ed affascinati da chi può davvero definirsi…… libero. 
Un ultimo sguardo, le ali si aprono nuovamente, due passi di corsa sull’acqua ferma dello stagno e via………! 
Ciao Fenicottero, vola…….tu che puoi, vola !